Mar 302015
 

«Lo so bene, mio povero Abate», rispose Madame C…, «Non mi insegni niente di nuovo; ma dimmi, è proprio vero che con questo genere di piaceri che gustiamo non andiamo contro gli interessi della società? E quell’amante saggio di cui tu approvi la prudenza, che ritira via l’uccello dal nido spargendo al di fuori il seme della vita, non commette ugualmente un crimine? Perché così facendo costui (come del resto anche noi) priva la società di un membro che potrebbe esserle utile».

«Questo non è che un ragionamento apparente», replicò l’Abate. «Ora vi dimostrerò, mia bella signora, che è soltanto esteriore. Non abbiamo nessuna legge umana o divina che ci inviti, o ancora meno ci costringa, a lavorare per la moltiplicazione del genere umano. Tutte le leggi permettono il celibato a uomini e donne, nonché a una folla di preti fannulloni e di monache inutili; permettono all’uomo sposato di convivere con la sua donna gravida, anche se i semi sparsi allora lo sono senza speranza di frutto. Lo stato di verginità è anzi reputato preferibile a quello del matrimonio. Ora, detto questo, l’uomo che si arrangia o quelli che come noi gioiscono dei piaceri delle scappatelle, non sono come quei preti, quelle monache e insomma tutti quelli che vivono nel celibato? Costoro conservano nei loro reni il seme che i primi gettano via per la maggior parte: non sono forse gli uni e gli altri esattamente nella stessa posizione davanti alla società? Nessuno di loro le dona alcun membro, ma la sana ragione ci dice che è molto meglio gioire di un piacere che non fa torto a nessuno spandendo inutilmente questo seme piuttosto che conservarlo nei nostri vasi spermatici, non soltanto con la stessa inutilità, ma a scapito della nostra salute e spesso della nostra vita. Vedete bene, quindi, cara la mia filosofa», aggiunse l’Abate, «che i nostri piaceri non fanno torto alla società più del celibato approvato dei preti, delle monache e via dicendo, e che possiamo continuare in pace le nostre cosette».

Indubbiamente dopo questi ragionamenti l’Abate si mise in posizione tale da rendere a Madame C… favore per favore; infatti, un istante dopo sentii che lei gli diceva:

«Ah, porco di un Abate! Smettila, leva quel dito! Oggi non sono in vena, risento ancora delle nostre follie di ieri; rimandiamo tutto a domani. Sai bene che preferisco stare come si deve, a mio agio, distesa sul letto. Questa panchina è scomodissima… Ancora una volta, smettila. In questo momento da te non voglio altro che la spiegazione che mi hai promesso su Madame Natura… Oh, ecco che il filosofo si è calmato: parlate pure, vi ascolto».

«Su Madame Natura?», riprese l’Abate. «Ebbene, su di lei ne saprete ben presto quanto me. È un essere immaginario, una parola priva di senso. I primi capi della Religione, i primi politici, non sapendo quale idea dare al popolo del bene e del male morale, hanno immaginato un essere fra Dio e noi, e lo hanno classificato come l’autore delle nostre passioni, delle nostre malattie e dei nostri peccati. Come avrebbero potuto, infatti, senza questo marchingegno, conciliare il loro sistema con la bontà infinita di Dio? Da dove avrebbero detto che ci vengono le tentazioni di rubare, di calunniare, di profanare e così via? Perché tante malattie? Cosa avrebbe fatto a Dio un disgraziato paralitico venuto al mondo per strisciare in terra tutta la sua vita? Un famoso teologo ha detto: “Sono gli effetti della Natura”. Ma che cos’è questa Natura? È un altro Dio che non conosciamo? No, afferma ancora perentoriamente il teologo. Siccome Dio non può essere l’autore del male, il male non può esistere che per mezzo della Natura. Che assurdità! È forse del bastone che mi colpisce che devo lamentarmi? O piuttosto di colui che ha diretto il colpo? Non è lui l’autore del male che sento? Perché non convenire una buona volta che la Natura è una creazione del pensiero, una parola vuota di senso; che tutto proviene da Dio, che la malattia che nuoce a uno serve alla felicità degli altri; che tutto è bene; che non c’è niente di male nel mondo, riguardo alla Divinità; che tutto ciò che viene chiamato bene e male morale è solo relativo all’interesse dei vari tipi di società stabilite fra gli uomini, non relativo a Dio, attraverso la volontà del quale agiamo necessariamente secondo le prime leggi, secondo i primi princìpi del movimento che egli ha stabilito in tutto ciò che esiste? Un uomo ruba; fa del bene in rapporto a se stesso, del male in rapporto alla società, perché ne infrange l’ordine stabilito; ma in rapporto a Dio, nulla. Nello stesso tempo convengo che quest’uomo deve essere punito, poiché sono convinto che non è affatto libero di commettere il suo crimine; ma deve esserlo perché la punizione di un uomo che turba l’ordine stabilito provoca macchinalmente, per le vie dei sensi, delle impressioni sull’animo, impedendo così ai malintenzionati di rischiare quello che potrebbe far loro meritare un’uguale punizione. Così la pena che il disgraziato sconta per la sua infrazione contribuisce alla felicità di tutti, che è in ogni caso preferibile al bene di un singolo. Aggiungo, anzi, che si devono biasimare anche i genitori, gli amici e tutti coloro che questo criminale frequentava abitualmente, proprio per incoraggiare, attraverso questo disegno, tutti gli uomini a ispirarsi reciprocamente orrore per le azioni e i crimini che possono turbare la tranquillità pubblica: tranquillità che la nostra disposizione naturale, i nostri bisogni, il nostro bene particolare ci conducono senza sosta a trasgredire. Questa disposizione, però, viene assorbita dall’uomo tramite l’educazione, le impressioni che riceve nell’anima, i discorsi e gli esempi degli altri uomini che frequenta; in una parola, attraverso le sensazioni della nostra vita. È dunque giusto e necessario che gli uomini si ispirino reciprocamente queste sensazioni utili al bene generale. Credo proprio, Madame», aggiunse l’Abate, «che ora abbiate capito cosa bisogna intendere con la parola Natura. Mi propongo di intrattenervi domattina sull’idea che bisogna avere della Religione. È una materia importante per la nostra felicità; ma oggi è troppo tardi per intraprendere questo discorso. Sento il bisogno di una tazza di cioccolata».

«Bene!», disse Madame C… alzandosi. «Vedo che il signor filosofo ha bisogno di un conforto fisico per le perdite libidinose che gli ho fatto subire: mi sembra giusto, avete detto e fatto delle cose ammirevoli. Niente di meglio delle vostre osservazioni sulla Natura. Ma», continuò, «consentitemi di dubitare del fatto che possiate farmi vedere così chiaro sulle questioni della Religione, che avete affrontato diverse volte con molto meno successo. Del resto, come si fa a dare dimostrazioni su una materia così astratta e dove tutto è articolo di fede?»

«È quello che vedremo domani», rispose l’Abate.

«Oh! Non illudetevi di poter rimandare a domani questi ragionamenti», replicò Madame C… «Rientriamo, per favore, di buon’ora nella mia camera, dove avrò bisogno di voi e del mio letto».

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