Apr 062015
 

Qualche istante dopo ripresero insieme la via di casa, e io li seguii nascosta dietro le siepi. In un minuto, andai nella mia camera per cambiarmi d’abito, dopo di che mi precipitai nell’appartamento di Madame C…, dove speravo che l’Abate non avesse ancora cominciato il suo discorso sulla Religione, che volevo assolutamente ascoltare. Quello sulla Natura mi aveva colpita. Vedevo chiaramente che Dio e la Natura erano la stessa cosa, o almeno che la Natura agiva per diretta volontà di Dio. Da questo avevo tirato le mie modeste conseguenze e, forse per la prima volta in vita mia, avevo cominciato a pensare.

Tremavo, entrando nell’appartamento di Madame C… Mi sembrava che ella dovesse accorgersi di quella specie di perfidia che le avevo appena fatto, che avrebbe capito i pensieri che mi agitavano.

L’Abate T… mi squadrava attentamente; mi credetti perduta, ma ben presto udii che diceva a bassa voce a Madame C…:

«Guardate Thérèse. Non è graziosa? Ha un colorito stupendo; gli occhi sono incredibilmente vivi e la sua fisionomia diviene ogni giorno più fine».

Non so quel che gli rispose Madame C…, ma si sorrisero l’un l’altra. Da parte mia, finsi di non aver sentito nulla, ma ebbi cura di non lasciarli per tutto il giorno.

La sera, nella mia camera, preparai un piano per la mattina dopo. Tanto era il timore di non riuscire a svegliarmi di buon’ora, che non dormii affatto. Verso le cinque vidi Madame C… raggiungere il boschetto dove Monsieur T… l’aspettava di già. Secondo quello che avevo udito il giorno prima, ella sarebbe ben presto rientrata nella sua camera da letto. Non esitai dunque a sgattaiolarvi dentro e a nascondermi proprio nella corsia del letto. Mi sedetti sul pavimento, a lato del capezzale, la schiena appoggiata al muro. Avevo davanti a me la tenda del letto che, in caso di necessità, avrei potuto scansare per avere la visuale di un divanetto che si trovava nel lato opposto della stanza, dove non si poteva dire una parola senza che io la udissi. Così sistemata, l’impazienza cominciava a farmi temere di aver sbagliato il colpo, quando i miei attori rientrarono.

«Baciami come sai, caro amico mio», disse Madame C… lasciandosi cadere sul divano. «La lettura di quel porco del Portinaio dei Certosini190 mi ha messa tutta in agitazione. Quelle descrizioni mi hanno colpita: hanno un’aria così vera che incantano. Se fosse meno sconcio sarebbe un libro inimitabile nel suo genere. Mettimelo dentro oggi, Abate, ti prego! Muoio dalla voglia e sono disposta a rischiare le conseguenze».

«Non lo farò», rispose l’Abate, «per due buone ragioni: la prima è che vi amo troppo e sono troppo onesto per rischiare la vostra reputazione e i vostri giusti rimproveri per questa imprudenza. La seconda è che il Signor Dottore oggi non è al meglio, come potete vedere. Non sono più un ragazzo, e…».

«Lo vedo a meraviglia», rispose Madame C… «Quest’ultima ragione è così evidente che in verità potevate evitare di farvi un merito della prima. Almeno, vienimi vicino», aggiunse andando a stendersi lascivamente sul letto, «e cantiamo, come dici tu, le preghierine».

«Ah, cara mammina mia, con tutto il cuore!», rispose l’Abate che si trovava ancora in piedi, cominciando a scoprire pian piano il seno di Madame. Quindi le alzò la veste e la camicia al di sopra dell’ombelico, e le aprì le cosce sollevando un po’ le ginocchia, in modo che i talloni si trovassero vicini alle natiche, quasi uniti l’uno all’altro, poggiati sui piedi del letto. In questa posizione, che mi era in parte nascosta dall’Abate che baciava a turno tutte le bellezze del corpo della sua cara compagna, Madame C… sembrava immobile, raccolta, in meditazione sulla natura dei piaceri di cui cominciava a sentire già i primi sintomi: gli occhi erano socchiusi, la punta della lingua si mostrava fra le labbra vermiglie e tutti i muscoli del suo viso erano in un’agitazione voluttuosa.

«Finiscila con i tuoi baci», disse all’Abate T… «Non vedi che ti aspetto? Non ne posso più».

Il compiacente direttore non si fece ripetere due volte quello che gli si chiedeva. Scivolò attraverso i piedi del letto fra Madame C… e il muro; la sua mano sinistra andò a passare sotto la testa della tenera Madame C…, che stringeva ben forte, baciandola bocca a bocca con dei piccoli, voluttuosi movimenti di lingua. L’altra sua mano era occupata nell’azione principale: carezzava con arte, solleticando quella parte che distingue il nostro sesso, e che Madame C… ha così ben guarnita di un bel pelo nero e ricciuto. Era proprio qui che il dito dell’Abate interpretava il ruolo più interessante.

Mai quadro fu sistemato in luce più vantaggiosa, riguardo alla mia posizione. Il letto era situato in modo che avevo come punto di vista il vello di Madame C…,sotto di cui si mostravano in parte le natiche, agitate da un leggero movimento dal basso verso l’alto, che denunciava un fermento interiore. Le sue cosce, che erano le più belle, le più rotonde, le più bianche che si possano immaginare, facevano con le ginocchia un altro leggero movimento da destra a sinistra che contribuiva senza dubbio ad aumentare il piacere della parte principale che era ormai in pieno godimento e della quale il dito dell’Abate, perduto dentro quel vello, assecondava tutti i movimenti.

Sarebbe inutile, mio caro Conte, tentare di spiegarvi ciò che pensavo in quel momento: non sentivo nulla per il troppo sentire. Macchinalmente, diventavo l’immagine di ciò che vedevo, la mia mano faceva le veci di quella dell’Abate; imitavo tutti i movimenti del mio amico.

«Ah! Muoio!», gridò lei tutt’a un tratto. «Continua mio caro Abate… sì… avanti così… Ti prego spingi forte, spingi, piccolo mio! Ah, che piacere! Mi sento sciogliere! Mi… sento… mancare!».

Sempre perfetta imitatrice di quel che vedevo, senza riflettere un momento sulla decenza del mio direttore, affondai il dito a mia volta. Il leggero dolore che avvertii non mi arrestò: spinsi con tutta la forza e giunsi al colmo del piacere.

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