Lug 062015
 

Due mesi trascorsero senza che voi sollecitaste quei desideri che cercavate di far nascere pian piano dentro di me. Andai oltre tutte le vostre aspettative, eccetto quelle della gioia di cui mi vantavate i rapimenti. Credevo che certi piaceri fossero uguali a quelli che ormai gustavo per abitudine, e ai quali vi offrii di partecipare. Al contrario, fremevo alla vista dello strale col quale minacciavate di colpirmi.

“Come è possibile”, mi chiedevo, “che una cosa così lunga, così grossa, con una testa così mostruosa, possa entrare in uno spazio dove a malapena riesco a introdurre il dito? Diventerò madre e, ne sono sicura, morirò. Ah, mio caro amico, evitiamo una simile catastrofe; lasciatemi fare”. Carezzavo, baciavo quello chiamavate il vostro dottore, e toccandolo in questo modo, vi derubavo, quasi vostro malgrado, di quel liquore divino, conducendovi al piacere e ristabilendo la pace nella vostra anima.

Notavo però, che non appena gli appetiti della carne si erano calmati, prendendo a pretesto il mio amore per la Metafisica e la Morale, adoperavate la forza del ragionamento per determinare la mia volontà a ciò che volevate.

«È l’amor proprio», mi diceste un giorno, «che decide tutte le azioni della nostra vita. Per amor proprio intendo quella soddisfazione interiore che ci spinge a fare una cosa o l’altra. Per esempio, io vi amo perché provo piacere amandovi. Quello che ho fatto per voi, si può dire, potrà esservi utile; non dovete, però, sentirvene obbligata. È l’amor proprio che me lo ha fatto fare, perché contribuire alla vostra felicità rendeva me felice; ed è per questo stesso motivo che non lo sarò mai perfettamente se non quando il vostro amor proprio troverà qui la sua soddisfazione particolare. Un uomo fa spesso l’elemosina ai poveri, compie un piccolo sacrificio per alleviarli: la sua azione è utile al bene della società, è lodevole riguardo a questo; ma riguardo a lui stesso, niente di più. Egli fa l’elemosina perché la compassione che sente per questi sventurati suscita in lui una pena, e prova meno disagio a disfarsi di un po’ del suo denaro in loro favore che continuare a sopportare questa pena suscitata in lui dalla compassione; o può darsi ancora che l’amor proprio, sollecitato dalla vanità di passare per un uomo caritatevole, sia la vera soddisfazione interiore che lo ha fatto decidere. Tutte le azioni della nostra vita sono dirette da questi due princìpi: procurarsi più o meno piaceri, evitare più o meno pene».

D’altra parte, caro Conte, voi avete ben compreso le brevi lezioni che ho ricevuto da Monsieur l’Abate T… Io vi ho insegnato – mi dite – che non siamo affatto padroni di pensare in un modo o in un altro, di avere questa o quella volontà, di essere o non essere agitati dai desideri.

In effetti, aggiungete voi, si può vedere attraverso delle osservazioni chiare e semplici che l’anima non è arbitra di nulla, che agisce soltanto in conseguenza di sensazioni e di facoltà del corpo; che alcune cause che possono produrre un deterioramento degli organi turbano l’anima e alterano il carattere; che un vaso, una fibra che si scompigliano nel cervello, possono rendere imbecille l’uomo più intelligente che ci sia. Noi sappiamo che la Natura agisce attraverso le vie più semplici, per un principio uniforme. Ora, siccome è evidente che non siamo liberi in certe azioni, ne deriva che non siamo liberi in nessuna. Aggiungiamo a questo che, se le anime sono puramente spirituali, saranno tutte uguali. Essendo tutte uguali, se avessero la facoltà di pensare e di volere, in uguali circostanze penserebbero e deciderebbero tutte nello stesso modo, il che non accade. Dunque esse sono determinate da qualche altra cosa, e quest’altra cosa non può essere che la materia, poiché i più ingenui non conoscono che lo spirito e la materia.

Ma domandiamo a questi ingenui: che cos’è lo spirito? Può esistere e non essere in nessun luogo? Se è in luogo, deve occupare un posto: se occupa un posto, è percepibile: se è percepibile, avrà delle parti; ma se ha delle parti, è materiale. Dunque lo spirito è una chimera, oppure fa parte della materia. Da questi ragionamenti, dite voi, si può concludere con certezza, prima di tutto, che non pensiamo in questo o in quel modo se non in rapporto con l’organizzazione dei nostri corpi, insieme alle idee che riceviamo giorno per giorno attraverso il tatto, la vista, l’olfatto, il gusto e l’udito; in secondo luogo, che la felicità o l’infelicità della nostra vita dipendono da queste modificazioni della materia e da queste idee; che anche i geni, gli uomini di pensiero, non possono dedicarsi troppo alle speranze e alle pene per ispirare idee che possano contribuire efficacemente alla felicità pubblica e in particolare a quella delle persone che amano. E cosa non dovrebbero fare a questo proposito i Padri e le Madri verso i loro figli, i Governanti e i Precettori verso i loro subalterni?

Infine, mio caro Conte, voi cominciate a stancarvi dei miei rifiuti. Infatti, non avete in progetto di farvi portare da Parigi la vostra “biblioteca galante”, assieme alla collezione di stampe dello stesso genere? Il mio amore per i libri e ancora di più per la pittura vi ha fatto immaginare questo stratagemma. «Allora, Mademoiselle Thérèse», mi dite scherzando, «vi piacciono le letture e le illustrazioni galanti? Io ne sono incantato, anche se trovo voi molto più piccante. Comunque, arrendiamoci, se volete: io acconsento a prestarvi per un anno la mia collezione e a far sistemare libri e stampe nel vostro appartamento, a patto che vi impegniate a restare per quindici giorni senza nemmeno portare la mano su quella parte che ormai dovrebbe appartenermi, e che abbandoniate definitivamente la masturbazione. Non c’è niente di male: è giusto che in un commercio ognuno metta un po’ di compiacenza. Ho le mie buone ragioni per chiedervi questo. Scegliete: senza questa condizione, niente libri e niente stampe».

Esitai un po’, quindi feci voto di continenza per quindici giorni.

«Non è tutto», aggiungeste. «Imponiamoci delle condizioni reciproche: non è giusto che facciate un così grande sacrificio solo per vedere queste stampe o leggere dei libri in prestito. Facciamo una scommessa, che vincerete senza dubbio. Io scambio la mia biblioteca e le mie stampe contro la vostra verginità; scommetto che durante questi quindici giorni non osserverete la continenza come avete promesso».

«In verità, Monsieur», vi risposi con aria un po’ piccata, «avete un’idea molto singolare del mio temperamento, e mi ritenete ben poco padrona di me stessa».

«Oh! Mademoiselle», replicaste, «nessuna lite, vi prego. Credete che io sia felice con voi? Del resto, la vostra persona non è affatto l’oggetto della mia proposta: ascoltatemi. Non è forse vero che tutte le volte che vi faccio un regalo il vostro amor proprio sembra ferito di riceverlo da un uomo che non rendete così felice come potrebbe essere? Ebbene! La biblioteca e le illustrazioni che vi piacciono tanto non vi faranno arrossire, perché ve le sarete guadagnate».

«Mio caro Conte», ripresi io, «mi tendete delle insidie, ma sarete voi a farne le spese, vi avverto. Accetto la scommessa!», esclamai. «Anzi, mi obbligo, per di più, a trascorrere tutte le mattine leggendo i vostri libri e guardando le vostre illustrazioni incantatrici».

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