Giu 222015
 

Ho detto dunque che erano stati annunciati due signori, che infatti entrarono. Formammo una quadriglia, e poi cenammo in allegria. La Bois-Laurier, che era di ottimo umore (e che preferiva non lasciarmi sola, libera di riflettere sull’avventura di quella mattina), mi volle a tutti i costi nel suo letto. Dovetti coricarmi con lei: chi va con lo zoppo impara a zoppicare; in breve, dicemmo e facemmo tutte le follie immaginabili.

Così fu, mio caro Conte; e proprio all’indomani di questa notte libertina io vi parlai per la prima volta. Giorno fortunato! Senza di voi, senza i vostri consigli, senza la tenera amicizia e la gelosa simpatia che ci legarono subito, mi sarei persa sicuramente. Era un venerdì: voi eravate, lo ricordo bene, nella sala dell’Opera, quasi sotto il palco dove eravamo sedute la Bois-Laurier e io. Se i nostri occhi si incontrarono per caso, si fissarono però con intenzione. Un vostro amico, che quella sera era tra i nostri invitati, ci presentò: poco dopo, vi vidi prenderlo in disparte. Vi fu chi mi canzonò per i miei princìpi morali: voi, al contrario, vi mostraste curioso di approfondirli, e in seguito interessato a conoscerli a fondo. Vi ascoltai, vi vidi con un piacere per me sconosciuto fino a quel momento. La vivacità di questo piacere mi animò, mi diede forza, fece crescere in me dei sentimenti che non avevo ancora scoperto. Tale è l’effetto della simpatia dei cuori: sembra quasi che uno pensi attraverso l’organo della persona che ama. Nello stesso istante in cui dicevo alla Bois-Laurier che doveva invitarvi a cenare con noi, voi faceste la stessa proposta al vostro amico. Tutto venne sistemato: l’Opera terminò e montammo tutti e quattro in carrozza per recarci al vostro piccolo albergo dove, dopo un giro a carte durante il quale pagammo cara la nostra distrazione, ci sedemmo a tavola per la cena. Alla fine, se mi separai da voi con rammarico, ero però consolata dal permesso che avevate chiesto di venirmi a trovare qualche volta, in un tono tale che mi rendeva sicura che non sareste venuto meno al vostro progetto.

Appena vi congedaste, quella curiosa della Bois-Laurier cominciò a far domande e mi costrinse pian piano a rivelarle quello che ci eravamo detti in privato, voi e io, dopo cena. Le risposi con tutta naturalezza che eravate apparso desideroso di sapere quale genere di affari mi aveva condotto e mi tratteneva a Parigi; le dissi pure che il vostro parlare mi aveva ispirato tanta confidenza che non avevo esitato a raccontarvi pressoché tutta la storia della mia vita e a informarvi dello stato della mia situazione attuale. Continuai dicendole che mi eravate parso toccato da questa situazione, e che mi avevate fatto intendere che in seguito avreste potuto fornirmi le prove dei sentimenti che vi avevo ispirato.

«Tu non conosci gli uomini», mi rispose la Bois-Laurier. «La maggior parte non sono che seduttori e imbroglioni. Dopo avere abusato della credulità di una ragazza, l’abbandonano al suo infelice destino. Personalmente, però, non è questa l’idea che ho del carattere del Conte; al contrario, tutto sembra annunciare in lui l’uomo che pensa, l’uomo onesto che è tale per la sua ragione e la sua volontà e non per pregiudizio».

La Bois-Laurier continuò per un po’ su questo argomento, con dei discorsi che dovevano servirmi da lezione per imparare a distinguere i differenti caratteri degli uomini, dopo di che ci coricammo. Appena a letto, le follie presero il posto dei ragionamenti. La mattina dopo la Bois-Laurier mi disse svegliandosi:

«Cara Thérèse, ieri ti ho raccontato tutte le miserie della mia vita; adesso tu conosci solo il rovescio della medaglia: se avrai la pazienza di ascoltarmi ti farò conoscere anche il lato buono. Tempo fa», proseguì, «quando il mio cuore era tormentato, quando mi lamentavo della vita indegna, umiliante nella quale la miseria mi aveva fatta cadere e dove i consigli e la familiarità con la Lefort mi facevano restare, questa donna, che aveva avuto l’arte di saper conservare su di me l’autorità di una madre, cadde malata e morì. Poiché tutti mi ritenevano sua figlia, fui io a ereditare i suoi beni: tra denaro contante, mobili, vasellame e biancheria, trovai tanto da ricavare una somma di trentaseimila lire. Donai mille lire ai poveri, quindi partii per Digione, dove avevo deciso di ritirarmi a trascorrere in pace il resto dei miei giorni. Strada facendo, ad Auxerre, fui colpita dal vaiolo, che cambiò talmente i miei lineamenti da rendermi irriconoscibile. Questo fatto, unito al ricordo delle cattive cure ricevute durante una mia malattia in quella provincia dove pensavo di stabilirmi, mi fece cambiare progetto. Compresi che in quelle condizioni potevo tornare a Parigi, lì dove avevo vissuto, diciamo così, due esistenze diverse, e vivercene tranquillamente un’altra senza timore di essere riconosciuta. Infatti vi tornai; era passato appena un anno. Monsieur B… è il solo uomo che mi conosce per quella che sono: preferisce che io dica di essere sua nipote, riuscendo così a passare per una donna perbene. Tu sei, cara Thérèse, l’unica donna con la quale mi sia confidata. Sono convinta che una persona con i tuoi princìpi sia incapace di abusare della confidenza di un’amica; ti voglio bene proprio per questo: conosco la bontà del tuo carattere e il buon senso dei tuoi sentimenti».

Quando Madame Bois-Laurier ebbe finito, la rassicurai che poteva fare affidamento sulla mia discrezione, e la ringraziai con tutto il cuore di aver saputo vincere, per me, la naturale ripugnanza che ognuno di noi prova nel raccontare a qualcuno le proprie disgrazie passate.

Era quasi mezzogiorno. La Bois-Laurier e io stavamo scambiandoci queste parole amichevoli, quando mi fu annunciato che volevate vedermi. Il mio cuore trasalì di gioia; mi alzai, corsi da voi: pranzammo, quindi trascorremmo insieme il resto della giornata.

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