Giu 292015
 

Tre settimane passarono, per così dire, senza che ci lasciassimo un momento e senza che io avessi l’animo di indagare se spendevate questo tempo per vedere se ero degna di voi. In effetti, inebriata dal piacere di vedervi, la mia anima non provava più altri sentimenti; e quantunque non avessi altro desiderio che quello di appartenervi per tutta la vita, non mi venne mai l’idea di formulare qualche progetto per assicurarmi questa felicità.

Nello stesso tempo, le vostre poche parole e la calma dei vostri modi mi allarmavano. «Se mi amasse veramente», mi dicevo, «dovrebbe essere più espansivo, come lo sono tanti altri che giurano di sentire per me l’amore più vivo». Insomma, ero inquieta: ignoravo, allora, che le persone sensate amano in modo sensato e che i fanfaroni sono fanfaroni in tutto.

Infine, caro Conte, dopo un mese mi diceste in poche parole che la mia situazione vi aveva inquietato fin dal giorno stesso che mi avevate conosciuta; che la mia figura, il mio carattere, la mia fiducia in voi vi avevano spinto a cercare un modo per tirarmi fuori dal labirinto in cui mi trovavo e dove stavo per perdermi.

«Devo sembrare indubbiamente molto freddo Mademoiselle», aggiungeste, «per un uomo che vi assicura di amarvi. Nondimeno, ne sono sicuro: capirete voi stessa che la cosa che mi sta più a cuore è rendervi felice».

Volevo interrompervi per dirvi grazie, ma voi continuaste: «Non è il momento, Mademoiselle. Abbiate la bontà di ascoltarmi fino in fondo. Posseggo dodicimila lire di rendita: posso, senza preoccuparmi troppo, assicurarvene duemila a vita. Sono un uomo risoluto a non ammogliarsi mai e ad abbandonare il bel mondo, le cui bizzarrie cominciano a venirmi troppo a noia, per ritirarmi in una bella e vasta tenuta che possiedo a quattro leghe da Parigi. Partirò fra quattro giorni. Volete accompagnarmici come amica? Può darsi che in seguito decidiate di essere la mia compagna: questo dipenderà solo da quanto vi riesce gradito, ovvero solo quando sentirete che potrà rendervi felice. È una follia», aggiungeste, «credere di poter rendere felici gli altri con il proprio modo di pensare. È dimostrato che non si pensa affatto come si vuole. Per fare la propria felicità, ciascuno deve scegliere il genere di piacere che più gli si addice, che più conviene alle passioni che si hanno, combinando ciò che risulterà dal bene, dal male e dalla gioia che questo piacere può darci. Bisogna osservare, inoltre, che questo bene e questo male vanno considerati non soltanto riguardo a se stessi, ma anche riguardo all’interesse pubblico. Come è chiaro che un uomo, per la molteplicità dei suoi bisogni, non può essere felice senza l’aiuto di un’infinità di altre persone, così ognuno deve stare attento a non commettere qualcosa che ferisca o danneggi la felicità che cerca. Da tutto questo si può concludere con certezza che il primo principio da seguire per essere felici in questo mondo è di essere onesti e di osservare le leggi umane, che sono come dei lacci che legano i nostri reciproci bisogni in seno alla società».

«È evidente», risposi. «Quelli che si allontanano da tali princìpi non possono essere felici: saranno infatti perseguitati dal rigore delle leggi, dal rimorso, dall’odio e dal disprezzo dei loro concittadini».

«Riflettete, dunque, Mademoiselle», continuaste voi, «su tutto ciò che ho avuto il piacere di dirvi, interrogate voi stessa, e vedete se la vostra felicità può fare la mia. Ora vi lascio: tornerò domani per sapere la vostra risposta».

Questo discorso mi aveva scossa. Provavo un piacere indescrivibile al pensiero di poter contribuire a quello di un uomo come voi. Mi accorgevo, al tempo stesso, di quel labirinto da cui ero minacciata, e sul quale la vostra generosità doveva rassicurarmi. Vi amavo: ma i pregiudizi sono così pesanti e difficili da distruggere! Lo stato di mantenuta, che avevo sempre visto considerare con un certo disprezzo, mi faceva paura. Avevo anche timore di mettere al mondo un bambino: mia madre e Madame C… avevano rischiato di morire di parto. E poi, avevo anche preso l’abitudine di procurarmi da sola un certo tipo di piacere che mi si era detto essere uguale a quello che si prova fra le braccia di un uomo; questo serviva anche a spegnere il fuoco del mio temperamento non desideravo mai nulla riguardo a questo, perché il sollievo seguiva immediatamente i desideri. Non c’erano quindi che due cose che potessero determinare le mie decisioni: la prospettiva di una miseria ormai prossima o l’invito a essere felice facendo la vostra felicità. Del primo motivo mi importava assai poco; il secondo mi fece decidere.

Con quale impazienza attesi il vostro ritorno, una volta presa la mia decisione!

L’indomani arrivaste puntualmente, e io mi precipitai fra le vostre braccia.

«Sì, Monsieur, sono vostra!», gridai. «Fate quel che volete della tenerezza di una ragazza che vi ama: i vostri sentimenti mi assicurano che non tradirete mai i miei. Di me conoscete i timori, le follie, le abitudini: lasciate agire il tempo e i vostri consigli. Voi conoscete il cuore umano, il potere delle sensazioni sulla volontà. Servitevi di questo vantaggio per far nascere in me quelle che credete più adatte per farmi contribuire senza riserve ai vostri piaceri. In attesa di questo, io vi sono amica e…».

Ricordo che interrompeste le dolci espansioni del mio cuore promettendo che non avreste mai contrariato i miei gusti, né le mie inclinazioni. Tutto venne sistemato. Il giorno dopo, annunciai la mia felicità alla Bois-Laurier, che pianse nel separarsi da me. Infine, partimmo per la vostra tenuta il giorno stabilito.

Arrivata in questo amabile soggiorno, non mi sentii per niente spaesata dal cambiamento di vita, poiché il mio spirito era occupato solo dal desiderio di piacervi.

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