Mag 022020
 

Ora, sapete benissimo quali altri stimoli si provino quando si ha la pancia piena. Ebbene, con le stesse lusinghe usate per convincere la donna a vivere, il soldato diede l’assalto alla sua virtù. Agli occhi di quell’esempio di castità il soldato non sembrava per altro né brutto né insipido, tanto più che l’ancella cercava di renderglielo simpatico, continuando a ripeterle:

“Non vorrai mica rinunciare anche a un amore gradito?

[E non ti ricordi in che paese vivi?”].

Bene, per non farvela troppo lunga, la donna non proseguì il digiuno nemmeno con questa parte del corpo, e il soldato vittorioso la persuase a rompere la doppia astinenza. E così giacquero insieme non solo nella notte che li vide consumare le nozze, ma il giorno successivo e quello dopo ancora, naturalmente dopo aver chiuso la porta della cappella, in maniera tale che chiunque, estraneo o parente, si fosse recato per caso alla tomba, credesse che quella moglie castissima si fosse lasciata morire sulla salma del marito.

Nel frattempo il soldato, trascinato dalla bellezza della donna e dalla tresca segreta, comprava quanto di buono era alla portata delle sue finanze e, appena calava la sera, lo portava giù nella cappella. E così i parenti di uno dei ladri crocifissi, vedendo che la sorveglianza si era allentata, una notte tirarono giù il loro congiunto dalla croce e gli resero gli estremi onori. Il soldato, raggirato mentre si occupava di ben altro, quando il giorno seguente si rese conto che su una delle croci non c’era più il corpo, temendo il supplizio, corse a raccontare alla donna quel che era successo, e aggiunse che non avrebbe aspettato il verdetto del giudice, ma che avrebbe punito da solo, con la spada, la propria negligenza. Poi le chiese di preparare lì nella cappella un loculo anche per lui che aveva ormai le ore contate, in modo che quella tomba fatale riunisse le spoglie del marito e dell’amante. Ma la donna, non meno pietosa che casta, gli rispose così: “Gli dèi non permettano che io assista a così breve distanza al funerale dei due uomini che ho amato di più nella vita. Preferisco appendere un morto sulla croce, piuttosto che lasciar morire un vivo”. Dopo aver detto queste parole, ordina di togliere dalla bara il cadavere del marito e di inchiodarlo alla croce rimasta vuota. Il soldato mise in pratica la brillante idea della donna e, il giorno seguente, la gente si domandava allibita come avesse fatto un morto a salire sulla croce da solo».

I marinai accolsero il racconto con una bella risata, mentre Trifena, tutta rossa dalla vergogna, nascose la faccia sul collo di Gitone con un gesto pieno di grazia. Non rise invece Lica che, scuotendo stizzito il capo, disse: «Se il governatore avesse agito secondo giustizia, avrebbe dovuto far riportare nel sepolcro la salma del marito e far crocifiggere la donna».

È chiaro che gli era venuta in mente Edile e il caos scoppiato a bordo durante quel viaggio tutto a base di sesso. Solo che i termini del trattato non ammettevano i brutti ricordi, e l’allegria che aveva ormai contagiato tutti non lasciava spazio al risentimento. Trifena, nel mentre, seduta com’era in grembo a Gitone, un po’ gli copriva di baci il petto e un po’ gli rimetteva a posto le ciocche della parrucca sulla fronte pelata. Quanto a me, avvilito e insofferente di fronte a quel nuovo sodalizio, non toccavo né cibo né vino, limitandomi a tirare occhiate torve e minacciose a quei due. A farmi male dentro erano tutte le carezze e tutti i baci che quella viziosa riusciva a inventare. In quel momento non sapevo con chi prendermela di più: se con il ragazzino che mi portava via la tipa, o con la tipa che si stava circuendo il ragazzino: ai miei occhi entrambe le cose erano insopportabili e ben più gravose della prigionia di prima. A tutto questo si aggiungeva poi il fatto che Trifena mi si rivolgeva come se non fossi mai stato uno del gruppo oltre che il suo gradito amante di un tempo, e Gitone non mi riteneva degno nemmeno del tradizionale bicchierino, né – il che è il minimo -, mi coinvolgeva nella normale conversazione, immagino per paura di riaprire una ferita nel cuore della donna, proprio adesso che la riconciliazione si era avviata. Fu così che il petto mi si inondò di lacrime di dolore, e i gemiti soffocati dai singhiozzi per poco non mi fecero soffocare.

*

Lica cercava anche lui di spassarsela un po’, senza però avere più quel suo tono da padrone, ma con il sorriso di un amico che chiede un favore.

*

L’ANCELLA DI TRIFENA A ENCOLPIO. «Se solo ti resta un po’ di sangue libero nelle vene, allora quella lì non considerarla più di una baldracca. Se sei un uomo vero, gira alla larga da quella rotta in culo».

*

Quello di cui mi vergognavo di più era che Eumolpo venisse a sapere quanto era successo e, pettegolo com’era nella sua insolenza, si vendicasse con qualcuno dei suoi versi.

*

Eumolpo allora giurò con formule solenni.

*

Mentre stavamo chiacchierando di queste cose, il mare cominciò a incresparsi, e grossi nuvoloni addensatisi da ogni parte seppellirono il cielo nel buio. I marinai corrono trepidanti ai loro posti di manovra e ammainano le vele in prossimità della tempesta. Ma né il vento spingeva le ondate in una direzione precisa, né il timoniere sapeva che rotta seguire. A tratti le folate ci spingevano verso la Sicilia, ma ben più di frequente era l’Aquilone, che domina incontrastato sulle coste dell’Italia, a sballottare da una parte e dall’altra la nostra povera nave, e poi – cosa questa assai più inquietante della stessa tempesta – tutto ad un tratto la luce venne risucchiata da tenebre così fitte, che il timoniere non riusciva nemmeno a scorgere tutta la prua. Quando poi fu evidente che il disastro era ormai inevitabile, Lica protese trepidante le mani verso di me e mi disse: «Encolpio, aiutaci tu in questo pericolo, e restituisci alla dea che protegge la nave la veste e il sistro. In nome del cielo, abbi pietà di noi, tu che lo hai sempre fatto!».

Mentre mi gridava queste parole, una folata di vento lo scaraventò in mare. Poi riemerse per un attimo tra le onde, ma alla fine l’acqua lo inghiottì coi suoi vortici di morte. Trifena che era a un passo dal fare la stessa… la afferrarono degli schiavi fedeli che la misero su una scialuppa insieme a buona parte dei bagagli, strappandola a morte sicura.

Avvinghiato a lui, gli gridai tra le lacrime: «È dunque questo che ci meritiamo dagli dèi, che a unirci sia solo la morte? Ma la sorte avversa non vuole concederci nemmeno questo. Ecco, tra un attimo le ondate rovesceranno la nave e tra un attimo il mare dividerà il nostro abbraccio d’amore. Dunque, se Encolpio l’hai amato davvero, bacialo finché c’è tempo, e strappa quest’ultima gioia al destino che incalza». A queste mie parole, Gitone si tolse il vestito e, insinuandosi sotto la mia tunica mi porse la testa perché gliela baciassi. Poi, per evitare che un’onda maligna ci spazzasse via stretti com’eravamo in quell’abbraccio, legò insieme i nostri corpi con una cintura e disse: «Se non altro, il mare ci trascinerà insieme un po’ più a lungo, o se invece vorrà essere più pietoso, ci scaraventerà sulla stessa spiaggia, dove qualcuno, per un comune senso di umanità, forse ci coprirà di pietre, o ancora, cosa che alla fine concedono anche i flutti in tempesta, sarà la sabbia a coprirci senza nemmeno saperlo». Io mi attaccai a lui in quell’ultimo abbraccio e poi, sistemandomi come dentro una bara, attesi la morte che adesso non mi faceva più paura. Nel frattempo la tempesta, realizzando il volere del destino, distrusse tutto quel che restava della nave, che ormai non aveva più albero, né timone, né sartie, ma era ridotta a una carcassa senza forma che andava alla deriva in balia delle onde.

*

In un attimo arrivarono dei pescatori, pronti a fare razzia sulle loro piccole imbarcazioni. Ma poi, quando videro che c’era ancora della gente decisa a difendere le proprie cose, da aggressivi che erano si dimostrarono disponibili a darci una mano.

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