Lug 182020
 

Cominciai a dimenarmi freneticamente nel letto, come se avessi avuto tra le braccia il mio amore.

*

«Non me soltanto un nume e il fato implacabile

tormenta. Prima di me il Tirinzio, colpito dall’ira

di Inaco, resse il peso del cielo, già Pelia

il rancore provò di Giunone, e Laomedonte cinse

ignaro le armi, Telefo di due numi saziò l’ira

terribile, e Ulisse temette la forza di Nettuno.

Me pure per tutte le terre, sui mari del bianco Nereo

incalza feroce la collera dell’ellespontiaco Priapo.

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Chiesi al mio Gitone se qualcuno mi aveva cercato. “Oggi nessuno” rispose lui, «ma ieri è venuta qui una donna mica male che, dopo aver parlato un bel po’ con me tormentandomi con un sacco di domande, alla fine ha attaccato a dire che l’avevi fatta grossa e che, se solo la parte lesa perseverava nell’accusa, ti sarebbe toccata la pena degli schiavi».

*

Non avevo ancora finito di fare le mie rimostranze, quando arrivò Criside che, avvinghiandosi a me in un abbraccio selvaggio, urlò: «Finalmente sei mio, come ho tanto sperato! Tu mio unico desiderio, mio solo amore. Questo fuoco che mi divora, non potrai mai estinguerlo, se non col sangue».

*

All’improvviso arrivò uno dei giovani appena assunti, sostenendo che il padrone ce l’aveva da bestia con me perché erano due giorni che non mi vedeva e avrei fatto bene a trovarmi una scusa credibile, se no era difficile che a quel collerico passasse la rabbia senza dover arrivare alla frusta.

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Filomela, una delle signore più stimate del luogo, che in passato, sfruttando la giovane età, aveva messo le mani su un bel po’ di eredità, adesso che era avanti negli anni e sfiorita, appioppava il figlio e la figlia a dei vecchi senza prole e così, nonostante il cambio di guardia, continuava a incrementare i suoi traffici. Questa donna si presentò a Eumolpo, per raccomandare alla sua saggezza e alla sua bontà di cuore i propri figli… e affidare nelle sue mani se stessa e le sue speranze. Gli disse infatti che lui era l’unico uomo al mondo in grado di educare i giovani impartendo loro anche i migliori principi morali. Che, a farla breve, lei lasciava i suoi due figli a casa di Eumolpo perché facessero tesoro delle sue parole, in quanto quella era la sola eredità che era in grado di dare ai ragazzi. E non si comportò diversamente da quanto aveva detto: lasciò infatti lì in camera la ragazza che era un vero splendore e il fratello che era appena adolescente, e finse di andare al tempio a fare un voto. Eumolpo, che era così casto e puro da considerare anche me un ragazzino, non perse tempo e invitò subito la ragazza ai sacri riti del didietro. Ma dato che a tutti aveva detto di avere la gotta e di soffrire di lombaggine, e se non continuava a sostenere questa tesi rischiava di mandare a carte quarantotto tutta la sceneggiata, per dar credito alla messinscena, pregò la piccola di andarsi a sedere su quel commendevole segno di bontà. Al servo Corace ordinò invece di mettersi sotto il letto su cui lui era disteso e, puntellandosi a forza di braccia sul pavimento, di muovere su e giù con la schiena il padrone. Quello eseguì l’ordine, in un primo tempo a ritmo lento e armonizzando il proprio movimento alle mosse esperte della ragazza. Ma, quando si era ormai quasi sul più bello, Eumolpo si mise a gridare a Corace di andare più svelto. E così il vecchio, messo tra il servitore e l’amichetta, se la spassava un mondo con quella specie di altalena. E, fra le risa di tutti cui si univano anche le sue, Eumolpo aveva già bissato un paio di volte il giochetto. Quanto a me, per non perdere le buone abitudini a forza di stare con le mani in mano, mi accostai al ragazzino che stava sbirciando dal buco della serratura le evoluzioni della sorella, e controllai se ci stava. E il ragazzino, che la sapeva già alquanto lunga, non avrebbe rifiutato le mie attenzioni, solo che anche lì il dio avverso mi venne a stanare.

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«A rimettermi in sesto sono stati gli dèi maggiori. Mercurio infatti, abituato com’è a scarrozzare avanti e indietro le anime, bontà sua mi ha restituito ciò che una mano imbestialita mi aveva strappato, perché adesso, come puoi constatare, vado più forte di Protesilao e di tutti quanti gli amatori del mondo antico». E così dicendo, mi tirai su la tunica e feci vedere il tutto a Eumolpo. Lui, sulle prime, ci rimane di stucco. Poi, per meglio sincerarsi della cosa, si mette a palpeggiare tutto quel ben di dio con entrambe le mani.

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«Socrate, degli dèi e degli uomini… soleva vantarsi di non avere mai messo il naso in un’osteria e di non essersi mai fermato a curiosare in un assembramento di gente. Non c’è niente di meglio che intrattenersi sempre con i saggi».

«Tutto questo» risposi io «è vero. Infatti nessuno è destinato a fare in fretta una brutta fine, più di quelli che mettono gli occhi sulle cose degli altri. Ad esempio, di che cosa vivrebbero ladri e vagabondi, se non avessero con sé scrigneti e borselli con monete sonanti da buttare come esca alla gente? Come i pesci abboccano attirati dall’esca, allo stesso modo gli uomini non rimarrebbero intrappolati se non si facesse balenare loro la speranza di mordere qualcosa».

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