Feb 022015
 

Che più, mio caro Conte? Dirrag se ne andò, ed Eradice, che venne ad aprire la porta dello stanzino, mi saltò al collo abbracciandomi.

«Ah, mia cara Thérèse!», esclamò. «Prendi parte alla mia felicità! Sì, io ho visto aprirsi il paradiso, ho partecipato alla felicità degli angeli. Che piacere, amica mia, in cambio di un momento di dolore! Per virtù del santo cordone la mia anima è ormai distaccata dalla materia. Tu hai potuto vedere attraverso quale parte il buon direttore l’ha introdotto dentro di me. Ebbene! Ti assicuro che l’ho sentito penetrare fino al cuore. Sarebbe bastato un grado di fervore in più, non ne dubito, per farmi entrare nella schiera dei Beati».

Eradice mi tenne mille altri discorsi con un tono e una vivacità tali da non potermi lasciare nessun dubbio sulla realtà del piacere supremo di cui aveva gioito. Il mio cuore era nella più viva agitazione, ed ero così scossa che a malapena fui in grado di risponderle per congratularmi con lei. Infine, l’abbracciai e la lasciai sola.

Quante riflessioni sugli abusi che si compiono nella nostra società a danno delle cose più rispettabili! Con quale arte questo Penallione seppe condurre la sua penitente ai suoi sporchi fini! Le accese l’immaginazione con la prospettiva della santità; la persuase che vi si giunge solo distaccando lo spirito dalla carne; di lì, la convinse della necessità di sottoporsi a una vigorosa disciplina, cerimonia che senza dubbio era un ristoro per il piacere del bacchettone, adatta a dimostrare l’elasticità del suo nervo erettore. Non dovrete sentire nulla, le disse, né vedere e capire nulla, se il vostro stato di contemplazione è perfetto. Con questo mezzo, dunque, si assicura che lei non volterà mai la testa, che non vedrà mai le sue sozzure. I colpi di frusta che le applica sulle natiche attirano gli umori nel posto di cui vuole servirsi, e lei ne è soggiogata. Infine, la risorsa del cordone di San Francesco, che con la sua intromissione caccerà via tutto ciò che rimane di impuro dal corpo della sua penitente, lo fa godere senza alcun rischio dei favori della sua docile accolita: lei crede di cadere in un’estasi divina, puramente spirituale, quando invece gioisce dei più voluttuosi piaceri della carne. L’Europa intera è venuta a conoscenza della storia del Padre Dirrag e di Mademoiselle Eradice; tutti ne hanno parlato; ma pochi in realtà sanno il vero svolgimento di questi fatti, divenuti in seguito un pretesto di contesa fra M… e J… Non starò qui a ripetere quello che è stato detto; tutte le procedure sono state rese note, avete visto i libelli e gli scritti che hanno parteggiato per l’uno o per l’altra, e sapete bene quale è stato il seguito della faccenda. Ecco quel poco che ne so per parte mia, al di là dei fatti di cui vi vengo a rendere conto.

Eradice è all’incirca della mia età. E nata a Volnot, figlia di un mercante presso il quale mia madre prese alloggio quando andò a stabilirsi in quella città. La sua figura è ben proporzionata; la sua pelle di una bellezza singolare, meravigliosamente bianca; capelli neri, corvini, occhi bellissimi, un aspetto virginale. Eravamo state amiche d’infanzia, ma quando mi misero in convento la persi di vista. La sua passione dominante era distinguersi dalle sue compagne, far parlare di sé. Questa passione, unita a un gran fondo di tenerezza, le fece scegliere la devozione come il partito più appropriato al suo progetto. Per lei, Dio era come un amante. Al tempo in cui ci ritrovammo era penitente di Padre Dirrag e non faceva che parlarmi di meditazione, di contemplazione, di preghiere; d’altra parte, era quasi una moda delle persone devote di quella città, anzi della provincia intera. Le sue maniere modeste le avevano fatto acquistare, dopo lungo tempo, una reputazione di grande virtù. Eradice era intelligente, ma questa sua dote l’applicava soltanto per giungere a soddisfare il desiderio smisurato che aveva di compiere miracoli. Tutto quello che lusingava questa passione diveniva per lei una verità incontestabile. Tali sono le follie umane: la passione dominante da cui si è presi assorbe sempre tutte le altre, che finiscono per agire solo in conseguenza di quella prima passione, impedendo di vedere i mezzi con cui combatterla, anche quando sono evidenti.

Il Padre Dirrag era nato a Dole. Al tempo di questi fatti aveva circa cinquantatré anni. Il suo viso era di quelli che di solito i pittori attribuiscono ai satiri. Quantunque laido fino all’eccesso, tuttavia aveva qualcosa di spirituale nella sua fisionomia. La libidine e l’impudicizia erano dipinte nei suoi occhi, ma da come agiva sembrava si preoccupasse soltanto della salute delle anime e della gloria di Dio. Aveva una forte inclinazione per i piaceri della carne, ma le sue esortazioni e i suoi discorsi erano untuosi e pieni di dolcezza. Possedeva l’arte della persuasione. Dotato di notevole intelligenza, la usava esclusivamente per acquistarsi la reputazione di conversore, e in effetti un considerevole numero di donne e di ragazze ha abbracciato la penitenza sotto la sua direzione spirituale.

Si vede che la somiglianza dei caratteri e delle vedute di questo prete e di Mademoiselle Eradice era sufficiente a unirli. Così, fin dalla prima venuta a Volnot, dove Dirrag era stato preceduto dalla sua fama, Eradice si gettò, per così dire, fra le sue braccia. Appena si conobbero si guardarono tacitamente come persone fatte per comprendersi, per parlare dei loro pregi reciproci. Eradice, allora, era certamente in buona fede, ma Dirrag sapeva bene come comportarsi. La graziosa figura della sua nuova penitente l’aveva sedotto, ed egli capì che a sua volta avrebbe potuto facilmente sedurre e illudere un cuore docile, tenero, pieno di pregiudizi; un’anima che accettava con la più grande dolcezza e credulità il ridicolo delle insinuazioni e delle esortazioni mistiche. Così egli si formò il suo piano, tale e quale ve l’ho descritto. Le prime mosse di questo piano gli assicurarono facilmente il piacere voluttuoso della fustigazione e vi fu un tempo in cui il buon Padre ne fece uso anche con qualcun’altra delle sue penitenti. Fino a un certo momento si era limitato a questo per i suoi piaceri libidinosi, ma le natiche di Eradice erano così sode, così ben fatte, così bianche e avevano talmente infiammato la sua immaginazione, che si decise a compiere il passo. I grandi uomini sanno superare gli ostacoli più insormontabili: così egli inventò lo stratagemma del pezzo del cordone di San Francesco, reliquia che con la sua intromissione avrebbe scacciato tutto ciò che di impuro e di carnale si trovava nella sua penitente, conducendola all’estasi. Fu sempre allora che inventò lo stratagemma delle stigmate, imitate, appunto, da quelle di San Francesco. Fece venire segretamente a Volnot una sua antica penitente che aveva tutta la sua confidenza. Questa penitente, tempo addietro, aveva adempiuto, con cognizione di causa, alle funzioni destinate ora soltanto a Eradice, che egli però giudicava troppo giovane, troppo entusiasmata dall’idea di poter compiere miracoli per avventurarsi a metterla a parte dei suoi segreti.

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