Mar 282016
 

Sul pianerottolo al primo piano fummo accolte da un gentiluomo davvero ben vestito e di bell’aspetto, con il quale sarei stata iniziata ai piaceri della casa. Mi salutò con molta galanteria e mi guidò fino al salotto. Il pavimento era completamente ricoperto da un tappeto turco, l’arredamento era adatto a soddisfare ogni capriccio del lusso più ricercato. Era illuminato da una profusione di candele che emanavano una luce molto discreta, forse più favorevole alla gioia e più teneramente piacevole di quella del sole stesso.

Appena entrai, ebbi la soddisfazione di udire un mormorio di approvazione correre per tutta la compagnia, che consisteva di quattro gentiluomini, compreso il mio particolare (questo era il termine usato nella casa per indicare il singolo amante di una sera), le tre giovani donne, in uno studiato déshabillé, la direttrice dell’accademia e io. Venni accolta da tutti con un bacio che, facile da immaginare, i gentiluomini mi diedero con maggior trasporto, per la differenza di sesso.

Ero piuttosto confusa dalla novità della situazione, con tutti quegli estranei intorno che mi circondavano, mi accarezzavano e mi corteggiavano. Non mi sentii subito a mio agio con quell’atmosfera gaia e spensierata che dettava i loro complimenti e animava le loro carezze.

Mi dissero che ero di loro gusto, ma che purtroppo avevo un piccolo difetto, facilmente guaribile: il pudore. Dissero che poteva anche essere un pregio, certo, però era loro abitudine bere fino in fondo alla coppa del piacere e quindi consideravano il pudore un vero e proprio nemico, da combattere senza pietà. Questo fu il prologo al baccanale che seguì.

Nel bel mezzo dei giochi licenziosi in cui l’allegra combriccola si era con tanta naturalezza lanciata, venne servita un’elegante cena. Prendemmo posto e il mio eletto si sistemò accanto a me, mentre le altre coppie si sedettero senza ordine né cerimonie. Il cibo delicato e il vino generoso bandirono ogni riserva. La conversazione intanto si era fatta vivace, senza tuttavia diventare troppo volgare: quei professori del piacere sapevano bene come mantenere viva l’eccitazione o come fare evaporare l’immaginazione nel momento dell’azione. Le coppie si scambiavano baci ardenti mentre le mani dei gentiluomini accarezzavano, petulanti e impudiche, le parti più intime dei corpi femminili che avevano al fianco. A un certo punto, il mio cavaliere propose di dare inizio alle danze, dato che gli pareva che gli strumenti fossero già accordati. A quel punto la signora Cole, profonda conoscitrice della vita, colse l’occasione per andarsene, poiché non era più in condizioni per prestare i suoi personali servigi, e compiaciuta per avere predisposto il campo di battaglia batté la ritirata lasciandoci alle nostre lotte.

Non appena se ne fu andata, il tavolo centrale venne rimosso e sostituito da un divano. Chiesi sussurrando la ragione di quello spostamento e mi dissero che era per me, in mio onore: avrei dovuto esibire le mie grazie e le mie arti amatorie davanti a tutti, per liberarmi di quel poco di riservatezza che ancora mi restava e che essi consideravano il peggior nemico del piacere carnale. Il mio accompagnatore mi disse anche che avevano l’abitudine di assumersi il compito di istruire le ragazze che per varie ragioni giudicavano degne di raggiungere le vette più alte della professione, ma che per quella sera, dato che era la prima volta e che potevo essere turbata dalla novità della cosa, avrei assistito prima a un esempio pratico di quello che ci si aspettava da me. Si augurava, aggiunse poi sorridendo con aria insinuante, che io riuscissi a sfruttare bene l’occasione che mi si offriva per imparare qualcosa, perché proprio lui sarebbe stato il mio uomo di quella sera. Mi fece presente, però, che se la situazione mi avesse messa troppo a disagio mi sarei potuta rifiutare di esibirmi, sarebbe infatti stato inutile indurmi a farlo contro la mia volontà: piacere e costrizione non possono coesistere.

La mia espressione esprimeva senza dubbio sorpresa, così come il mio silenzio esprimeva consenso. Ormai ero imbarcata, determinata a intraprendere il viaggio con quella compagnia.

I primi ad aprire le danze furono un ufficiale di cavalleria e la più dolce delle bellezze, la deliziosa brunetta Louisa. La condusse allora al divano, per nulla riluttante, dove la fece cadere e la distese con un vigore che lasciava trapelare un desiderio ardente e impaziente. La ragazza, disponendosi nel modo più favorevole, la testa appoggiata a un cuscino, era così concentrata su quello che stava facendo che la nostra presenza era l’ultima delle sue preoccupazioni. Sollevò la sottoveste, rivelando così alla compagnia un paio di cosce ben tornite, e offrì poi alla nostra ammirazione quella deliziosa fessura di carne ricoperta da una piacevole peluria che si dipartiva lasciando intravedere la più invitante entrata racchiusa tra due cespugli morbidi e sporgenti. Il suo cavaliere era pronto: spogliatosi degli abiti carichi di merletti, compresa la camicia, ci mostrò tutta la sua virilità al massimo dell’erezione e pronta per l’assalto. Senza darci tempo per osservarne meglio le dimensioni, si gettò a peso morto sull’affascinante antagonista che lo accolse eroicamente senza batter ciglio. Di certo non esisteva ragazza all’infuori di lei con una predisposizione più vera al piacere o più sincera nell’espressione di esso: potevamo osservare il godimento brillare nei suoi occhi nel momento in cui il cavaliere la penetrò con il suo plenipotenziario strumento. Alla fine, entrato fino in fondo, la sua eccitazione crebbe fino a diventare violenta, e cominciò a dare colpi cosi impetuosi che lei accompagnava perdendosi nel godimento delle sue sensazioni preferite: la giovane ricambiava i colpi con un concerto di spinte che andava perfettamente a tempo con i loro gemiti, al punto che avremmo quasi potuto contare i colpi dai mormorii distinti, mentre i loro corpi erano avvinghiati in abbracci convulsi. Finché dai loro baci di fuoco e morsi d’amore, in un delirio di piacere, capimmo che stavano per raggiungere il momento liberatorio. E ben presto arrivò, quando Louisa, in preda a una frenesia estatica, incapace di controllarsi, si mise gridare: «Oh, signore! Mio buon signore! Non mi risparmi! Ah! Ah!…». Tutte le sue parole ora si tramutarono in gemiti di piacere e infine i suoi occhi si chiusero in una dolce morte quando giunse quell’istante, che potemmo facilmente intuire dalla posizione esanime del suo cavaliere, poco prima indomabile, che si era di colpo fermato, senza fiato, liberando lo spirito del piacere. Una volta finito, Louisa balzò in piedi, si sistemò la sottoveste e corse verso di me per darmi un bacio, quindi mi trascinò verso il tavolo insieme al suo cavaliere, e lì brindammo con un bicchiere di vino a una scherzosa proposta di matrimonio di Louisa.

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