Giu 082015
 

Un quarto (era un cortigiano dedito ai piaceri, quello che si dice un debosciato) mi chiese di recarmi a casa sua con una mia collega. Lo trovammo in una stanzetta tappezzata di specchi disposti tutti intorno a un letto di velluto cremisi sistemato nel centro. “Siete delle donne incantevoli, adorabili”, ci diceva affettuosamente questo cortigiano. “Ora, spero che non ve la prenderete se non sarò io a…, vero? Ci penserà piuttosto – se lo troverete di vostro gusto – uno dei miei maggiordomi, un ragazzo bello e ben fatto; credo proprio che vi piacerà. Che volete farci, mie belle principesse?” continuò “bisogna saper amare i propri amici con tutti i loro difetti! Io, per esempio, non riesco a gustare il piacere se non attraverso l’idea che me ne formo vedendolo fare agli altri. Del resto, ognuno si mischia con chi crede… Eh! Non sarebbe forse pietoso che uno come me dovesse farsi scimmiottare dal primo villano arrivato?”.

Dopo questo discorso preliminare, pronunciato in tono mellifluo, fece entrare il suo maggiordomo, vestito per l’occasione con una corta veste da camera di raso color carne. La mia collega venne distesa sul letto: il valletto cominciò ad accarezzarla dolcemente e con abilità, e dopo un poco mi chiese di denudarmi dalla cintola in su. Tutto questo avveniva con ordine e molta calma. Il padrone di casa, seduto su una poltrona, osservava con attenzione, tenendo in mano il suo strumento ancora molle. Il maggiordomo, al contrario, dopo essersi calati i pantaloni fino al ginocchio e rimboccata la camicia, aveva messo in mostra un membro eccezionale, Non aspettava, per agire, che un ordine del suo padrone, il quale infatti gli disse che poteva cominciare. Subito, il fortunato maggiordomo si stende sulla mia amica, la penetra e rimane immobile.

“Vi prego, Mademoiselle”, mi disse il cortigiano indicando le natiche scoperte del maggiordomo, “di mettervi da quel lato del letto e di sollecitare quel bel paio di c… che pendono fra le cosce del nostro ragazzo, che è un bravo e robusto stallone”.

Mi misi all’opera, nuda, come già vi ho detto, dalla cintola in su. Il coordinatore della festa disse allora al maggiordomo che poteva cominciare il suo lavoro. Quello comincia; spinge e rispinge con un movimento di natiche stupendo a vedersi, mentre la mia mano, seguendo i movimenti, non abbandona mai quelle due “sfere” enormi.

Il padrone segue la scena, girando gli occhi sui vari specchi, che gliela presentano nelle diverse posizioni in cui la riflettono. Riesce finalmente a far irrigidire il suo strumento: sente che il momento del piacere si avvicina. “Puoi finire”, dice al maggiordomo, che da parte sua raddoppia i colpi. Infine tutti e due si placano, spandendo quel divino liquore. Cara Thérèse», continuò la Bois-Laurier proseguendo il suo racconto, «mi torna in mente a questo proposito un’avventura molto divertente che mi capitò quello stesso giorno con tre Cappuccini: servirà a darti un’idea di come questi buoni Padri osservino il loro voto di castità. Dopo essere uscita dalla casa del cortigiano di cui ti ho parlato e aver detto addio alla mia collega, appena girai l’angolo per salire sulla carrozza che mi attendeva, mi imbattei in una certa Dupuis, amica di mia madre e degna emula del suo commercio, con la sola differenza che lo esercitava con più discrezione e in un giro diverso.

“Ah! Mia cara Manon”, esclamò venendomi subito incontro, “come sono felice di incontrarti! Tu sai che io ho la fortuna di servire quasi tutti i preti di Parigi, vero? Bene, oggi sembra che quei cani si siano messi d’accordo per farmi diventare matta: sono tutti in fregola. Stamattina ho nove ragazze sparse in giro per la città a causa loro, e saranno quattro ore che scarpino senza riuscire a trovarne un’altra per tre venerabili Cappuccini che mi stanno ancora aspettando dentro una carrozza ferma vicino casa mia. Bisogna, cara Manon, che tu mi faccia il piacere di venire: sono dei buoni diavoli, ti piaceranno”.

Ebbi un bello spiegare alla Dupuis che, come lei sapeva, non ero selvaggina da preti, che questi signori non si accontentano dei piaceri della vista e della fantasia, ma che occorrono loro delle ragazze le cui aperture siano molto libere.

“Perbacco!” replicò la Dupuis. “Mi meraviglio che ti scaldi tanto per i gusti di quei bricconi. Comunque, io devo solo portare la ragazza; quello che riusciranno a farci sono affari loro. Tieni, ecco i sei luigi che mi hanno messo in mano: ce ne sono tre per te. Vuoi venire?”.

L’interesse, aggiunto alla curiosità, mi fece decidere. Montammo sulla mia carrozza e facemmo ritorno verso Montmartre, dove abitava la Dupuis. Giungemmo a casa e un istante dopo arrivarono anche i tre Cappuccini che, poco abituati a gustare un boccone così ghiotto come io sembravo essere, si gettarono su di me come tre belve affamate. (In quel momento mi stavo stringendo una giarrettiera, in piedi, la gamba poggiata su una seggiola). Il primo, dalla barba rossiccia e il fiato puzzolente, venne a baciarmi in bocca, tentando di cacciare dentro la lingua; un altro mi ficcava le mani fra le tette, tastandole; il terzo mi aveva sollevata la camicia da dietro, e sentivo la sua faccia attaccata alle natiche, molto vicino a quel piccolo buco. Qualcosa di ispido come un crine, passandomi tra le cosce, mi frugava la zona anteriore: porto la mano lì e che trovo? La barba di Padre Ilario che, sentendosi preso e tirato per il mento, per obbligarmi a mollare la presa mi dà un bel morso vigoroso su una natica. Lascio la barba, e il dolore mi strappa un grido lacerante, che ha l’effetto felice di calmare quegli sfrenati, liberandomi per un momento dalle loro zampe. Mi sedetti su un letto che si trovava lì vicino; ma ebbi appena il tempo di riordinare le idee, che tre strumenti enormi si inalberarono davanti ai miei occhi.

“Oh, Padri cari!” gridai. “Un momento di pazienza, vi prego! Cerchiamo di metterci d’accordo su quello che resta da fare. Non sono certo venuta qui per giocare alla vestale: però vediamo con chi di voi tre io…”.

“Con me!”, gridarono all’unisono, senza darmi il tempo di finire.

“Dite un po’, giovani barbe”, riprese uno di loro in tono baldanzoso. “Voi osate contendere il passo a me, Padre Angelo, Guardiano di …, Predicatore di Quaresima di …, vostro superiore? Che fine ha fatto la vostra sottomissione?”

“La mia fede non si trova certo dalla Dupuis”, rispose uno dei due sullo stesso tono. “Qui Padre Anselmo vale quanto Padre Angelo”.

“Ti sbagli proprio” replicò quest’ultimo, sferrando all’improvviso un pugno in mezzo alla faccia del reverendissimo Padre Anselmo. Costui, che era poco meno di un cretino, salta su Padre Angelo, e tutti e due si afferrano, si combattono, si azzuffano digrignando i denti: le loro tonache, volate in aria, mettono in mostra quegli utensili che, forse per la vergogna di essersi fatti vedere così baldanzosi poco prima, sono ormai ridotti a dei cenci…

Dovette accorrere la Dupuis per dividerli: ci riuscì solo gettando un gran secchio d’acqua fredda sulle parti vergognose di quei due discepoli di San Francesco.

Durante il combattimento, intanto, Padre Ilario non si era limitato affatto a seguire la scena. Siccome io me ne stavo riversa sul letto, mezzo morta dalle risate e priva di forze, lui ne approfittò per esplorare le mie bellezze, cercando di potersi mangiare l’ostrica disputata a suon di ceffoni dai suoi compagni. Sorpreso dalla resistenza che incontra, si interrompe per scrutare da vicino i buchi di sfogo; trova la conchiglia, ma non l’entrata. Che fare? Cerca nuovamente di penetrarvi; sforzi inutili, inutili pene. Il suo strumento, dopo aver raddoppiato gli sforzi, è ridotto all’umiliante risorsa di sputare sul naso dell’ostrica che non può inghiottirlo.

La calma succede di colpo a questo furore monacale. Padre Ilario chiede un attimo di silenzio: informa i due combattenti della mia irregolarità e della barriera insormontabile che ostruisce l’entrata del soggiorno dei piaceri. La vecchia Dupuis si mostrò assai mortificata, e si difese cercando di essere spiritosa; da donna che conosce il mondo, propose una sosta per l’arrivo di un rifornimento di alcune bottiglie di Borgogna, che furono ben presto scolate. Nello stesso tempo, gli utensili dei nostri Padri ripresero la loro originaria consistenza. Le libagioni a Bacco furono interrotte a favore di quelle a Priapo. Intontiti com’erano, i nostri combattenti furono di facile contentatura, e ben presto sia le mie natiche che il loro rovescio servirono da altare alle loro offerte.

A questo punto un’eccessiva gaiezza si impadronì di noi: truccammo i nostri compagni con del rosso, dei nei; ciascuno di loro si imbacuccò con qualcuno dei miei indumenti di donna. A poco a poco mi ritrovai tutta nuda, coperta soltanto da un saio da Cappuccino, abbigliamento nel quale fui trovata affascinante.

“Non siete contenti”, si mise a berciare la Dupuis che era mezzo ubriaca, “di vedere un visino come quello della bella Manon?”

“No, perbacco”, replicò Padre Angelo in un tono che il vino rendeva furioso. “Non sono mica venuto qui per vedere un visino! Sono venuto qui per fottere. E ho ben pagato!”, aggiunse. “E questa mazza che tengo in mano non se ne andrà di qui senza esserci riuscita, dovessi fottermi la carcassa del diavolo!”».

«Ascolta bene questa scena, cara Thérèse», mi disse la Bois-Laurier interrompendosi. «È davvero insolita. Ma ti avverto, anche se un po’ in ritardo, che non posso addolcire nessuno dei termini, altrimenti perde tutto il sapore». Madame Bois-Laurier aveva cominciato in modo troppo spiritoso per non lasciarla continuare; io sorrisi e lei seguitò così il racconto di questa avventura:

«“Fottere il diavolo?”, ripeté la Dupuis alzandosi in piedi e imitando il tono sbracato del Cappuccino. “Ebbene! Bernarda mia”, disse scoprendosi fino all’ombelico “guarda questa mazza venerabile che ne vale almeno due. Non sono una buona diavolessa? Fottiti me, se osi, e guadagna il tuo denaro!”.

Così dicendo acchiappa Padre Angelo per la barba e se lo trascina addosso, lasciandosi cadere sul letto. Il Padre non è per nulla sconcertato dall’entusiasmo della sua Proserpina: è pronto a penetrarla e la penetra all’istante. Appena la Dupuis, che aveva circa sessant’anni, sentì dentro di sé l’effetto dei colpi del Padre, fu trasportata da quel piacere delizioso che nessun uomo aveva avuto il coraggio di farle gustare da più di venticinque anni e cambiò ben presto tono:

“Ah, mio Papa”, diceva agitandosi come un’ossessa. “Mio caro Papa, su fottimi, dai… fammi godere… Non ho che quindici anni, amico mio, vedi? Sì, non ho che quindici anni… Senti come galoppo? Vai, vai, piccolo cherubino, tu mi ridai la vita… fai proprio un’opera pia…”.

Tra l’una e l’altra di queste tenere esclamazioni, la Dupuis baciava il suo campione, lo stringeva, lo mordicchiava con i due unici denti cariati che le restavano nella bocca. Dal canto suo il Padre, sovraccarico di vino, fungeva soltanto da pagliericcio; ma questo vino cominciava a fare il suo effetto, e ben presto noi spettatori (ovvero i reverendi Padri Anselmo, Ilario e io) ci accorgemmo che Padre Angelo perdeva terreno e che i movimenti avevano cessato di essere regolarmente periodici.

“Ah, bastardo!” gridò a un tratto la Dupuis che se ne intendeva, “tu stai… Cane, non mi farai un simile affronto…”.

Proprio in quel momento lo stomaco del Padre, affaticato dall’agitazione, fece una capriola, e l’inondazione colpì in pieno la faccia della sfortunata Dupuis nel bel mezzo di una delle sue esclamazioni amorose che le beavano la bocca; la vecchia, sentendosi impiastrata da quella doccia fetente, non resse: anche il suo stomaco si rivoltò, ripagando l’aggressore con la stessa moneta.

Mai spettacolo fu più disgustoso e più comico al tempo stesso. Il Padre vacilla, crolla sulla Dupuis che fa sforzi enormi per cercare di metterlo di lato, e infine ci riesce. Tutti e due navigano nella lordura: i loro visi sono irriconoscibili. La Dupuis, la cui collera era solo rimandata, piomba su Padre Angelo tempestandolo di pugni. Gli altri due spettatori e io ridevamo a tal punto da non avere la forza di dar loro una mano. Infine, ci accostammo per separare quei due campioni. Padre Angelo si addormentò, la Dupuis si ripulì; sul fare della notte ciascuno si ritirò, tornandosene tranquillamente a casa».

 Leave a Reply

You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>

(required)

(required)

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.