Giu 012015
 

Durante tutta questa singolare scena, io avevo continuato a ridere fino a perdere il fiato. In effetti si è mai visto niente di simile? Lavorare cantando e battere il tempo con un simile arnese. Avresti mai immaginato che un bemolle invece di un bequadro avesse il potere di smontare così di colpo un uomo e farlo rientrare istantaneamente in se stesso?

Sapevo bene che la sorella della Baronessa si prestava a tutto ciò che il suo amante le chiedeva: non tanto per piacere, ma piuttosto per legarlo a sé, con delle compiacenze che poi gli faceva pagare a caro prezzo. Ignoravo, però, qual era il ruolo della Contessa che mi stavano chiedendo di rifare. Me ne misero subito al corrente, ed ecco in che cosa consisteva.

I due amanti mi distesero sul ventre, sotto il quale sistemarono tre o quattro cuscini, in modo che le mie natiche restassero sollevate: quindi mi denudarono sino ai fianchi e mi fecero poggiare la testa sulla spalliera del letto. Minette si sdraia sul dorso e mette la testa fra le mie cosce, unendo la sua fronte al mio pelo come se fosse una parrucca. Bibì toglie la sottana e la camicia a Minette e si stende a sua volta su di lei, sostenendosi con le braccia. Nota, mia cara Thérèse, che in questa posizione Monsieur Bibì si trovava ad avere a quattro dita dal naso il viso della sua amante, il mio pelo, le mie natiche e tutto il resto. Queste cose riuscirono a fargli dimenticare la musica: baciava indistintamente tutto quello che gli si trovava davanti, viso, culo, bocca, senza nessuna preferenza; tutto era uguale per lui. Il suo dardo, guidato dalla mano di Minette, riprese ben presto la sua elasticità, rientrando nel luogo dove era stato poco prima. Fu allora che cominciarono le cose in grande: l’amante spingeva, Minette imprecava e mordeva, muovendosi con un’agilità senza pari. Da parte mia, continuavo a ridere fino alle lacrime, osservando con tanto d’occhi quella faccenda che avveniva dietro di me. Finalmente, dopo un così lungo lavoro, i due amanti raggiunsero l’orgasmo e navigarono in un mare di delizie.

Qualche tempo dopo, invece, conobbi un Vescovo: costui aveva un modo di fare l’amore davvero fastidioso, sia per lo scandalo che ne sarebbe potuto derivare, sia per i timpani meglio allenati del mondo. Immagina che, forse perché gli piaceva o forse per qualche difetto fisico, Sua Eminenza, quando sentiva avvicinarsi il piacere, cominciava a muggire e a gridare a voce alta: “Ahi! ahi! ahi!”, proporzionando il tono al piacere che sentiva, tanto che si sarebbe potuto calcolare quanto il grande e grosso prelato si sollazzava, dalla forza e dal volume con cui muggiva i suoi “ahi! ahi! ahi!”. Questo schiamazzo che Monsignore faceva mentre si scaricava si sarebbe potuto udire a mille passi di distanza, se il suo maggiordomo non avesse preso sempre la precauzione di sigillare porte e finestre dell’appartamento episcopale.

Ma se dovessi farti un quadro completo di tutti i gusti bizzarri e singolari che mi è capitato di conoscere negli uomini, non finirei più; senza contare tutte le posizioni in cui fanno mettere la donna durante il coito.

Pensa che una volta mi introdussero, da una porticina di servizio, in casa di un uomo famoso e molto ricco, al quale ogni mattina da più di cinquant’anni una ragazza diversa andava a far visita nel modo che ora ti dirò.

Venne lui stesso ad aprirmi la porta e io, avvertita prima dell’etichetta che bisognava osservare abitualmente con lui, appena entrai mi tolsi veste e camicia. Una volta nuda, mi diressi verso la poltrona dove se ne stava gravemente seduto e gli presentai le mie natiche da baciare. “Corri, corri veloce, figlia mia”, mi disse, tenendo in una mano il suo membro che scuoteva con tutte le forze e nell’altra un gatto a nove code, col quale si limitava semplicemente a minacciare il mio sedere. Mi metto a correre, e lui dietro. Facciamo cinque o sei giri della stanza mentre lui grida come un diavolo: “Corri, dai, puttana, corri!”, finché all’ultimo, spossato, ricade di nuovo sulla poltrona. Mi rivesto, prendo i dieci luigi d’oro che mi dà e me ne vado.

Un altro, ricordo, aveva l’abitudine di mettermi seduta sul bordo di una sedia, scoperta fino alla cintola. In questa posizione, talvolta per compiacenza, talvolta per gusto, bisognava che mi servissi di un godemiché per procurarmi il piacere. Lui, nella stessa posizione, di fronte a me dall’altra parte della stanza, lavorava con la mano alla stessa bisogna, tenendo l’occhio fisso sui miei movimenti e singolarmente attento a non terminare l’operazione se non quando il mio languore gli annunciava che stavo raggiungendo il colmo della voluttà.

Un terzo (si trattava di un vecchio medico) non dava nessun segno di virilità se non dopo un centinaio di colpi di frusta che dovevo applicargli sulle natiche. Una mia collega, intanto, inginocchiata davanti a lui, il petto nudo, lavorava di mano per ben disporre il nervo erettore di questo moderno Esculapio, fino a quando gli spiriti interiori, messi in movimento dalla fustigazione, erano sollecitati a portarsi nella regione inferiore del corpo. Con queste differenti operazioni la mia compagna e io riuscivamo a fargli spandere il seme della vita. Tale era il meccanismo col quale questo dottore assicurava di poter rimettere in sesto un uomo esaurito, un impotente e perfino far concepire una donna sterile.

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