Mag 112015
 

Questo singolare discorso, lo confesso, mi fece cadere le braccia. Ascoltavo P… a bocca aperta, lo sguardo inebetito, senza riuscire a spiccicare parola.

B… se ne andò via con R… senza che, per così dire, me ne accorgessi, e io rimasi lì come una stupida fra le braccia della Bois-Laurier, che mormorava tra i denti qualche paroletta dolce per darmi a intendere che non avevo subito nessun torto.

Alla fine, prendemmo una carrozza per tornare a casa; ma non ce la feci più a lungo a resistere a quell’agitazione: durante il tragitto versai un torrente di lacrime. La mia casta compagna, che non era per niente tranquilla circa le idee che potevano essermi rimaste sulla mia avventura, non mi abbandonò a me stessa: cercò anzi di persuadermi che gli uomini erano sempre curiosi di conoscere fino a che punto una ragazza che hanno intenzione di sposare sia esperta dei piaceri dell’amore. La conclusione di questo bel ragionamento fu che la prudenza avrebbe dovuto spingermi a fingere maggiore ingenuità, e che la mia impulsività – lo vedeva con rammarico – non mi avrebbe portato fortuna. Le risposi adirata che non ero poi così bamboccia da non capire che cosa quell’indegno di R… voleva farmi, e aggiunsi seccamente che non avrei pagato quel prezzo nemmeno per la più grande fortuna. Trasportata dalla mia agitazione, le raccontai quindi del Padre Dirrag e di Mademoiselle Eradice, delle lezioni che avevo ricevuto in proposito dall’Abate T… e da Madame C…; insomma, di parola in parola, la furba Bois-Laurier si fece raccontare tutta la mia storia. Questa cosa le fece cambiare tono. Se le ero sembrata poco istruita sugli usi e i costumi del mondo, fu non poco sorpresa della mia conoscenza della Morale, della Metafisica e della Religione.

«Sono davvero felice di conoscere una ragazza come te», disse abbracciandomi forte, perché è una donna di buon cuore. «Tu mi apri gli occhi su misteri che hanno reso infelice la mia esistenza: le riflessioni che non ho mai cessato di fare sulla mia passata condotta mi turbavano il sonno. Ahimè! Chi più di me deve sapere i castighi da cui siamo minacciati per dei peccati che tu mi hai dimostrato essere involontari? L’inizio della mia vita è stato una sequela di orrori; ma quale ne sia il prezzo per il mio amor proprio, ti devo confidenza per confidenza, lezione per lezione. Ascolta dunque, mia cara Thérèse, il racconto delle mie avventure; istruendoti sui capricci degli uomini, che è bene tu conosca, contribuirò anche a confermarti che in effetti il vizio e la virtù dipendono dal temperamento e dall’educazione».

E così, all’istante, questa donna cominciò la sua storia.

«Tu vedi in me, cara Thérèse, un essere singolare. Non sono né uomo, né donna, né ragazza, né vedova, né sposata. Sono stata una libertina di professione, eppure sono ancora vergine. Cominciando così questo discorso, tu mi prenderai certamente per una pazza; un po’ di pazienza, ti prego, e avrai la soluzione dell’enigma. La natura è stata capricciosa con me, e ha posto degli ostacoli insormontabili sulla strada dei piaceri che ci fanno passare dallo stato di ragazza a quello di donna: una membrana nervosa ne ostruisce l’accesso tanto bene, che anche la saetta più aguzza che l’amore abbia mai avuto nella sua faretra ha sempre fallito il bersaglio. Quello che forse ti sorprenderà maggiormente è che non sono mai riuscita a convincermi a subire l’operazione che avrebbe potuto rendermi abile ai piaceri, quantunque, per vincere la mia ripugnanza, mi sia stato citato ogni volta l’esempio di centinaia di ragazze che nel mio stesso caso si sono sottoposte felicemente a tale operazione. Destinata fin dalla mia più tenera infanzia al mestiere della cortigiana, questo difetto, che sembrava dover essere uno scoglio alla mia fortuna in questa vergognosa carriera, ne fu, al contrario, il motivo principale. Capisci ora che, quando ti ho detto che le mie avventure ti avrebbero istruita sui capricci degli uomini, non intendevo parlare delle variazioni pressoché infinite che si possono dare alla voluttà in quello che è il vero e proprio amplesso con una donna: tutte le sfumature delle posizioni galanti sono state tratteggiate con tanta finezza dal celebre Pietro Aretino, vissuto nel Quindicesimo secolo, che oggi non rimane più nulla da aggiungere. Voglio insegnarti invece alcuni gusti stravaganti, alcune compiacenze bizzarre che certi uomini esigono da noi; anzi, c’è chi, o per preferenza o per qualche difetto di conformazione fisica, li considera una gioia suprema.

Entro subito in argomento. Non ho mai conosciuto mio padre e mia madre. Una donna di Parigi, soprannominata la Lefort, di condizione borghese, presso la quale ero stata allevata come se fossi sua figlia, mi chiamò un giorno in disparte e con aria di mistero mi disse quello che stai per ascoltare. Non avevo, a quel tempo, che quindici anni.

“Tu non sei mia figlia”, cominciò dunque Madame Lefort, “ed è arrivato ormai il momento che ti riveli il tuo stato. All’età di sei anni ti trovai smarrita per le vie di Parigi: ti portai a casa mia, e ti ho nutrita e allevata caritatevolmente sino a oggi ma, nonostante tutte le ricerche fatte, non sono mai riuscita a sapere chi siano i tuoi genitori. Ho fatto di tutto per educarti come si deve, anche se sai bene che non sono ricca. Sta a te, ora, essere lo strumento della tua stessa fortuna. Ecco”, aggiunse, “quello che ti propongo per raggiungerla. Sei graziosa, ben fatta, più formata di quanto non lo siano di solito le ragazze della tua età. Il Signor Presidente di …, mio protettore e amico, è innamorato di te. Egli è disposto a farti del bene e a mantenerti decorosamente a patto che tu sia compiacente nei suoi confronti. Rifletti, Manon, su ciò che vuoi che gli risponda. Tuttavia, non posso nasconderti che, se non accetti la sua offerta, bisogna che ti rassegni a lasciare questa casa fin da oggi, perché non sono più in grado di poterti ancora nutrire e mantenere”.

Questa rivelazione scoraggiante accompagnata da una tale conclusione da parte di Madame Lefort, mi agghiacciò di terrore. Feci ricorso alle lacrime, ma fu inutile: bisognava che prendessi una decisione. Dopo qualche spiegazione preliminare, accettai di fare tutto ciò che volevano, mentre Madame Lefort mi prometteva che avrebbe avuto per me le stesse cure di prima, che avrei potuto chiamarla sempre col dolce nome di madre.

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