Mag 042015
 

Appena il nostro finanziere fu uscito, Madame Bois-Laurier prese a dirmi come fosse felice che egli mi avesse trovata di suo gusto.

«È un uomo senza pari», disse, «un cuore eccellente e un amico impagabile. Lasciatemi fare; vi sono sinceramente amica: se seguirete i miei consigli, e soprattutto non farete la smorfiosa, vi assicuro che farà la vostra fortuna».

Cenai dunque col mio nuovo mentore, che sondò con scaltrezza qual era il mio modo di pensare e la condotta che avevo tenuto fino a quel momento. Mi parlò così a cuore aperto che anch’io mi sentii spinta a farlo e finii per confidargli più di quanto non volessi. Fu subito allarmato dall’apprendere che non avevo mai avuto un amante, ma si rassicurò subito quando seppe, attraverso le risposte che riuscì a strapparmi con abilità, che conoscevo il valore dei piaceri amorosi e che ne avevo tratto un onesto partito. La Bois-Laurier mi riempiva di carezze e di baci: fece di tutto per convincermi a dormire con lei. La ringraziai, ma mi ritirai nella mia camera, la mente occupatissima dalle buone prospettive che mi attendevano.

I parigini sono allegri e gentili. Fin dalla mattina dopo la mia buona vicina mi propose di arricciarmi i capelli, di vestirmi a dovere, di servirmi della sua cameriera; ma il dolore per mia madre mi impedì di accettare le sue offerte, e rimasi in camicia da notte. La curiosa Bois-Laurier si divertiva a farmi mille birichinate: alla fine, percorrendo tutte le mie bellezze con gli occhi e con le mani, mi regalò una camicia, che volle infilarmi lei stessa. «Ah, bricconcella», mi disse dopo averci pensato un po’, «credo proprio che ti stai infilando questa camicia senza prima aver fatto pulizia al tuo micino! Ebbene dov’è il tuo bidet?»

«Non capisco davvero», le risposi, «cosa volete intendere con questo bidet».

«Come!…», esclamò lei. «Niente bidet! Guardati bene dal vantartene. È un oggetto necessario a una ragazza di buona famiglia; necessario quanto la camicia. Per oggi ti presto volentieri il mio, ma domani, senza tardare oltre, bisogna provvedere all’acquisto di un bidet».

Fu dunque portato quello della Bois-Laurier; ella mi ci fece sedere sopra, e nonostante tutto quel che potessi dire e fare, questa donna imprevedibile, ridendo come una matta, lavò lei stessa abbondantemente quello che chiamava il mio “micino”, al quale non fu risparmiata neppure l’acqua di lavanda: non supponevo affatto la festa che gli era stata preparata e il motivo di questa scrupolosa pulizia.

Verso mezzogiorno una carrozza di piazza ci portò a casa di Monsieur B…, dove egli ci aspettava in compagnia di un certo Monsieur R…, suo collega e amico. Costui era un uomo che poteva avere dai trentotto ai quarant’anni, di figura passabile e riccamente vestito, che faceva di tutto per mettere in mostra i suoi anelli, i suoi astucci, le sue tabacchiere, dandosi un’aria di grande importanza. Si degnò nondimeno di accostarmisi, e prendendomi le mani, dopo avermi scrutato faccia a faccia, esclamò:

«Perbacco, è davvero affascinante! Voglio farne la mia donnina».

«Oh! Monsieur, voi mi onorate, ma non…».

«No, no!», rispose lui interrompendomi «non dovete imbarazzarvi per niente. Sistemerò tutto in modo che sarete contenta».

Venne annunciato che la cena era servita e ci sedemmo a tavola. La Bois-Laurier, pratica del gergo e delle proposte tipiche di questo genere di riunioni, fu davvero deliziosa. Ebbe un bello stuzzicarmi, ma io ero totalmente disorientata. Non dicevo parola o, se aprivo bocca, dicevo delle cose talmente noiose per i due finanzieri, che la primitiva vivacità di R… scomparve del tutto. Mi guardava a occhi sgranati: è una cosa che di solito accade quando ci si trova con persone che agiscono e pensano in modo diverso dal nostro. In seguito, comunque, alcuni bicchieri di Champagne ripararono nella mente di R… i torti causati dalla mia sterile conversazione: lui divenne più pressante, e io più docile. Ero colpita dalla sua disinvoltura: le sue mani ladre frugavano un po’ dappertutto, mentre da parte mia il timore di mancare a dei riguardi che pensavo gli fossero dovuti mi impediva di cercare di incutergli rispetto seriamente. Mi credevo tanto più autorizzata a lasciar andare le cose per il loro verso vedendo nell’altro lato della camera Monsieur B… esplorare ancor più arditamente le forme di sua nipote. Infine, mi difesi così male da quelle piccole intraprendenze di R…, che egli non dubitò più di riuscire se ne avesse tentate di più serie. Mi propose dunque di passare su di un lettino che si trovava di fronte al sofà.

«D’accordo, Signore», risposi semplicemente. «Penso che sarebbe meglio. Ho paura che vi stanchiate troppo in questa posizione lì ai miei ginocchi (così infatti si era messo!). Andiamo».

Al che, lui subito si leva in piedi e mi porta sul lettino. In quel mentre, mi accorsi che Monsieur B… e sua nipote uscivano dalla stanza: avrei voluto alzarmi per seguirli, ma l’intraprendente R…, dicendo in quattro parole che mi amava alla follia e voleva la mia fortuna, mi aveva infilato una mano nella camicia fino alla cintola, mentre con l’altra tirava fuori dai calzoni un membro duro e nervoso. Aveva passato un ginocchio fra le mie cosce, cercando di aprirle il più possibile per saziare il suo desiderio brutale, quando lo sguardo mi cadde su quel mostro che mi minacciava, e riconobbi che aveva pressappoco la fisionomia dell’aspersorio col quale Padre Dirrag scacciava gli spiriti immondi dal corpo delle sue penitenti. Mi ricordai in un attimo di tutti i pericoli verso i quali l’Abate T… mi aveva messo in guardia per quell’operazione da cui adesso ero minacciata. La mia docilità si cambiò immediatamente in furore: afferrai quel terribile R… per la collottola, e col braccio teso gli impedii di conquistare quella cosa che si sforzava di raggiungere. Allora, tenendo lo sguardo fisso, per timore di una sorpresa, sulla testa del nemico di cui temevo l’offensiva, chiamai con tutte le mie forze Madame Bois-Laurier in mio soccorso, la quale (forse a conoscenza o forse no dei progetti di R…), non poté comunque fare a meno di accorrere e di biasimare la sua condotta.

Furiosa per l’affronto appena ricevuto da R…, avrei voluto cavargli gli occhi; gli rimproverai la sua impudenza con le parole più aspre. B…, intanto, aveva raggiunto la Bois-Laurier: tutti e due insieme riuscivano a stento a trattenermi, tanto era la foga con la quale volevo gettarmi su R…, quando costui, dopo aver riposto tranquillamente l’arnese incriminato nella sua custodia, ruppe tutt’a un tratto il silenzio con uno scoppio di risa.

«Perbacco, la piccola provinciale», mi disse, imitando le smorfie dei buffoni di infimo ordine. «Bisogna proprio ammettere che vi ho fatto una gran paura! Davvero credevate che io volessi…? Oh! Come è strana una ragazza di provincia, che non conosce gli usi del bel mondo! Immagina caro B…», continuò, «che ho steso la signorina sul letto, le ho tirato su le sottane le ho mostrato il mio…! La piccola smorfiosa non ha immaginato affatto che potesse esserci qualcosa di strano in questo procedimento. Ha fatto la ritrosetta. Voi siete accorsi, ed ecco qui tutta la storia che mette questa bella bambina nello stato che vedete. Non c’è forse da divertirsi un mondo?» aggiunse raddoppiando le sue risate. «Ma, cara Bois-Laurier», riprese poco dopo con grande serietà, «vi prego di non mettermi più con simili pazze. Non ho la stoffa del maestro di scuola, né voglio essere professore di civiltà. Dovreste insegnare a vivere alla signorina prima di presentarla a persone come B… e me».

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