Dic 292014
 

Che battaglia, mio caro Conte, ho dovuto combattere fino a ventitré anni, tempo in cui mia madre mi ritirò da quel maledetto convento! Ne avevo appena sedici quando caddi in uno stato di languore che era il frutto delle mie meditazioni: avevo infatti scoperto dentro di me delle passioni che mi era impossibile conciliare. Da una parte amavo Dio ardentemente, desideravo con tutto il mio cuore di servirlo nel modo in cui mi assicuravano volesse essere servito; dall’altra sentivo dei violenti desideri di cui non potevo conoscere il fine. Quel bel serpente si pavoneggiava senza sosta nella mia anima, vi albergava mio malgrado, nella veglia o nel sonno. Qualche volta, nell’eccitazione, credevo di poterlo toccare con la mano; lo accarezzavo, ammiravo la sua aria nobile, altera; la sua durezza, sebbene ne ignorassi l’uso. Il mio cuore prendeva a battere forte, con sveltezza, e al culmine della mia estasi, o meglio del mio sogno, sempre caratterizzato da un fremito di piacere, quasi non mi riconoscevo più: la mia mano si ritrovava prigioniera della mela, il mio dito sostituiva il serpente. Eccitata dal piacere che pregustavo, ero incapace di qualsiasi altra riflessione: l’inferno intravisto davanti ai miei occhi non avrebbe avuto il potere di fermarmi. Rimorsi impossibili! Raggiungevo la vetta del piacere.

Che turbamento dopo! Il digiuno, il cilicio, la meditazione, erano le mie risorse: mi struggevo in lacrime. Questi rimedi danneggiarono il mio organismo e mi portarono all’improvviso a scoprire la verità sulla mia passione, rovinando insieme il mio spirito e la mia salute. Caddi in una prostrazione che mi avrebbe portato di sicuro alla morte, quando mia madre mi ritirò dal convento.

Rispondete, ora, teologi dotti o ignoranti, che create le nostre colpe a vostro piacimento! Chi mi aveva inculcato nella mente le due passioni da cui ero combattuta, l’amore di Dio e quello dei piaceri della carne? Chi? La Natura o il Diavolo? Decidete. Ma oserete dire che uno di questi due è più potente di Dio? Se sono subordinati a lui, è dunque Dio che ha permesso che queste passioni si agitino in me, è opera sua. Ma, replicherete, Dio mi ha donato la ragione per illuminarmi. Sì, ma non per farmi decidere. La ragione mi ha fatto distinguere bene le due passioni che mi agitano, è attraverso di essa che ho appreso di avere avuto tutto da Dio. È lui che mi ha dato queste passioni in tutta la loro potenza, ma quella stessa ragione che mi illuminava non mi convinceva affatto. Però Dio, continuerete voi, vi ha lasciata padrona della vostra volontà, siete libera di scegliere fra il bene e il male. Un gioco di parole. Questa volontà e questa pretesa libertà non posseggono un proprio grado di forza, anzi, agiscono soltanto in conseguenza del grado di forza delle passioni e degli appetiti che ci sollecitano. Io potrei, per esempio, essere libera di ammazzarmi, di buttarmi da una finestra. Niente affatto: poiché l’istinto di vivere in me è più forte di quello di morire, non mi ammazzerò mai. Chiunque, direte, è a buon diritto padrone di donare ai poveri o al suo indulgente confessore i cento luigi d’oro che ha in tasca. Non lo è affatto: l’istinto di conservare il suo denaro è più forte di quello di ottenere un’assoluzione inutile dai suoi peccati, ragion per cui, necessariamente, lo terrà per sé. Infine, ognuno può dimostrare a se stesso che la ragione serve solo a far vedere agli uomini se hanno voglia di fare (o di evitare) questa o quella cosa, insieme con il piacere o il dispiacere che ne potrà venire. Da questa conoscenza acquisita con la ragione risultano quelle che chiamiamo la volontà e la determinazione. Ma questa volontà e questa determinazione sono perfettamente subordinate ai livelli delle passioni o dei desideri che ci agitano, così come un peso di quattro libbre determina necessariamente la pendenza di una bilancia che ha solo due libbre da sollevare nell’altro piatto. Ma mi potrà dire un ragionatore che si limita a vedere l’apparenza: non sono forse libero di bere a pranzo una bottiglia di vino di Borgogna o una bottiglia di Champagne? Non sono forse padrone di scegliere per una mia passeggiata la grande Allée des Thuileries o la Terrasse des Feuillans?

Io penso che in ogni caso in cui l’anima si trova in una perfetta indifferenza circa la sua determinazione, che nella circostanza in cui i desideri di fare l’una o l’altra cosa si trovano bilanciati in un giusto equilibrio, questa mancanza di libertà non si possa vedere: è una lontananza da cui non discerniamo più gli oggetti. Ma avviciniamoli un po’ questi oggetti, e allora distingueremo, vedremo ben presto con chiarezza il meccanismo che regola le azioni della nostra vita; e dopo averne conosciuto uno li conosceremo tutti, perché la natura agisce sempre secondo uno stesso principio.

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