Dic 222014
 

Allarmata dalle parole del mio confessore, gli chiesi cosa dovessi fare. Come avevo potuto dare a mia madre una simile idea di me? Egli non ebbe alcuna difficoltà a spiegarmi, nei termini più misurati, quello che era accaduto e le precauzioni prese da mia madre per correggermi da un difetto del quale – diceva – desiderava che io non conoscessi mai le conseguenze.

Queste riflessioni mi fecero tornare alla mente gli accarezzamenti nella soffitta, di cui vi ho già parlato. Il rossore mi salì in viso, abbassai gli occhi come una persona vergognosa e interdetta: per la prima volta, mi parve di scorgere una colpa in quei piaceri. Il Padre mi domandò il motivo del mio silenzio e della mia tristezza; gli raccontai tutto. Buon Dio, quali dettagli non pretese da me…? Ma la mia ingenuità sui termini, sulle attitudini e sul genere dei piaceri da cui provenivo servì a persuaderlo della mia innocenza. Mi biasimò con una prudenza poco comune ai ministri della Chiesa e le sue espressioni confermarono l’idea che si era fatta del mio temperamento. Il digiuno, la preghiera, la meditazione, il cilicio furono le armi con cui mi ordinò di combattere in futuro le mie passioni. Mi disse: «Non portate mai la mano e neppure gli occhi su quella parte infame attraverso la quale pisciate, che non è diversa cosa dalla mela che ha sedotto Adamo, decretando la condanna del genere umano con il peccato originale. Quella parte è abitata dal demonio: è la sua dimora, il suo trono. Evitate di lasciarvi sorprendere da questo nemico di Dio e degli uomini! Per sottolineare questa punizione, la natura coprirà ben presto quella parte di un vile pelame, come quello che serve da mantello alle bestie feroci: l’onta, l’oscurità, l’oblio devono essere il suo destino. E usate ancora maggiori precauzioni verso quel pezzo di carne dei ragazzi della vostra età, che fecero il vostro piacere in quella soffitta: esso è il serpente, figliola mia, che tentò Eva, nostra comune madre. Che i vostri sguardi e le vostre carezze non siano mai rivolti a questa bestia villana! Presto o tardi essa vi tenterà e vi divorerà».

«Oh! Padre», risposi commossa, «è mai possibile che sia un serpente, e così dannoso come dite? Ahimè! Mi sembrava tanto dolce! Non ha morso nessuna delle mie compagne! Vi assicuro che aveva soltanto una piccolissima bocca e niente denti, l’ho visto bene…».

«Andiamo, bambina mia», mi interruppe il confessore, «dovete credere a ciò che vi dico. I serpenti che avete avuto la temerarietà di toccare erano ancora troppo giovani, troppo piccoli per compiere i mali di cui sono capaci; ma si allungheranno, s’ingrosseranno, si slanceranno contro di voi: ed è allora che dovrete temere l’effetto del veleno che usano schizzare con una sorta di furore, e che vi imprigionerà il corpo e l’anima». Alla fine, dopo qualche altra lezione di questo genere, il buon Padre mi congedò, lasciandomi in una strana perplessità.

Mi ritirai nella mia camera, caro Conte, con l’immaginazione scossa da ciò che avevo appena udito, ma molto più colpita dall’idea dell’amabile serpente che dalle rimostranze e dalle minacce che mi erano state fatte su di esso. Tuttavia misi in pratica quello che avevo promesso: resistetti allo spirito del mio temperamento e divenni un vero esempio di virtù.

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