Feb 292020
 

EUMOLPO. «Quand’ero militare in Asia agli ordini di un questore, mi ospitò una famiglia di Pergamo. Siccome mi trovavo benissimo non solo per la comodità dell’alloggio, ma anche perché il padrone di casa aveva un figlio bellissimo, mi misi subito a escogitare il sistema per diventarne l’amante senza che il padre se ne rendesse conto. Tutte le volte che a tavola si faceva un accenno a certe esperienze omosessuali, io mi infervoravo così tanto e chiedevo con una tale decisione di non offendere le mie orecchie con sconcezze di quel tipo, che soprattutto la madre del ragazzo mi guardava come un vero filosofo. Così cominciai ad accompagnarlo io in palestra, ad organizzargli lo studio, a dargli qualche lezione, a raccomandargli di non portarsi in casa qualche maniaco sessuale.

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La sera di un giorno di festa, mentre ce la godevamo nel triclinio e una protratta allegria ci aveva tolto la forza di ritirarci nelle nostre camere, verso mezzanotte mi resi conto che il ragazzo era ancora sveglio. E allora, con un filo di voce, feci questo voto: “O nostra Signora Venere, se solo riesco a baciare questo ragazzo senza che se ne accorga, domani gli regalo una coppia di colombe”. Ma il giovane, sentendo il prezzo che ero disposto a pagare per quel tipo di piacere, cominciò a russare. Io saltai subito addosso a quell’ipocrita e lo sommersi di baci. Soddisfatto di questo inizio, la mattina mi alzai di buon’ora e comprai un bel paio di colombe che, come lui si aspettava, gli portai, per tener fede al mio voto.

Essendosi la notte successiva ripresentata l’occasione, cambiai obiettivo e dissi tra me e me: “Se riesco a palparlo per bene senza che lui se ne accorga, in cambio gli regalo due galli da combattimento”. Sentendo questa promessa e, mi sa tanto, temendo che fossi io ad addormentarmi, il ragazzino mi si avvicinò spontaneamente. Io allora mi sbrigai a tranquillizzarlo e mi rimpinzai con tutto il suo corpo, senza però arrivare al piacere supremo. Poi, alle prime luci del giorno, gli portai con sua grande gioia quanto promesso. Quando anche la terza notte vidi che c’era via libera, mi alzai e, mentre lui fingeva di dormire, gli sussurrai in un orecchio: “O dèi immortali, se a questo angioletto addormentato riesco a fargli il servizio completo, domani, in cambio di questo piacere, gli regalo un bellissimo puledro macedone, a patto però che non si accorga di nulla”. Il ragazzino dormì profondo come non gli era mai successo. Così io prima mi riempii le mani coi suoi capezzoli al latte, poi mi attaccai alle sue labbra in un bacio lunghissimo e alla fine concentrai tutte le mie voglie in un unico punto. La mattina successiva, lui se ne stava in camera, aspettando che come al solito io gli portassi il mio regalo. Ma sai benissimo quanto più facile sia comprare colombe e galli rispetto a un puledro, e in più avevo paura che un regalo di quelle dimensioni potesse rendere sospetta la mia generosità. Così, dopo qualche ora passata a zonzo, me ne tornai a casa e al ragazzino non gli diedi altro che baci. Ma lui, guardandosi intorno mentre mi stringeva tra le braccia, mi disse: “Signore mio, ma il cavallo dov’è?”.

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Non avendo mantenuto la mia promessa, mi ero chiuso quella porta che io stesso avevo aperto. Ciò nonostante ritornai alla carica. Pochi giorni dopo, essendosi ripresentata un’altra occasione altrettanto propizia, non appena mi resi conto che il padre stava russando, cominciai a scongiurare il ragazzino che facesse la pace con me, che cioè continuasse a lasciarsi soddisfare come prima, e aggiunsi tutte le altre frescacce che la foia più matta suggerisce. Ma lui, ancora imbronciato con me, continuava a ripetere: “O dormi, o chiamo mio padre!”. Ma non c’è nulla che sia così difficile da non poterlo strappare a colpi di malizia. E mentre lui continuava a ripetere: “Guarda che chiamo mio padre”, io gli scivolo nel letto e lo possiedo di forza senza stare tanto a badare alle sue resistenze. Ma lui, per niente contrariato dalla mia violenza, dopo essersi a lungo lamentato dicendo che io l’avevo ingannato e che era diventato lo zimbello dei suoi compagni di scuola coi quali si era fatto bello della mia generosità, disse: “Ti farò vedere che non sono come te. Se vuoi fa’ pure”. E così, lasciando da parte ogni motivo di rancore, tornai nelle grazie del ragazzino e, dopo avere di nuovo approfittato della sua compiacenza, scivolai nel sonno. Ma lui, che era nel pieno dello sviluppo e in quell’età in cui si prova più gusto a farsi ingroppare, non si accontentò del mio bis. Così mi venne a svegliare dicendomi: “Non vuoi nient’altro?”. Anche se non del tutto, la sua generosità cominciava però a pesarmi. Ad ogni modo, anche se col fiato corto e in un lago di sudore, gli diedi quel che voleva, per poi ripiombare nel sonno, stremato dal piacere. Non era passata nemmeno un’ora, che il ragazzino prese a darmi dei pizzicotti dicendo: “Perché non lo rifacciamo?”. Ma io, seccato da tutti quei risvegli forzati, saltai su tutte le furie e gli restituii le sue stesse parole: “O dormi, o chiamo tuo padre”».

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