Giu 062020
 

Estasiata dal mio madrigale, la donna sorrise in maniera così soave da sembrarmi la luna quando fa capolino da una nube con la sua faccia piena. Poi, accompagnando con gesti le parole, disse: «Se non disdegni, o bel giovine, una donna di classe che quest’anno ha conosciuto per la prima volta l’uomo, io ti offro l’amore di una sorella. So che tu hai già un fratellino – lo ammetto, ho preso qualche informazione -, ma chi ti impedisce di adottare anche una sorella? A me basta stare sul suo stesso piano. Tu dègnati solo, quando te ne vien voglia, di provare anche i miei di baci». «Anzi» replicai, «sono io che ti scongiuro, in nome della tua bellezza, di voler ammettere tra i tuoi spasimanti uno straniero. Se ti lasci adorare, vedrai come sono devoto. E perché tu non debba pensare che io voglia entrare gratis nel tempio d’Amore, accetta in dono il mio fratellino». «Ma come» replicò lei, «mi regali questo bel ragazzino senza il quale non puoi vivere e dalle cui labbra pendi, questo qui che tu ami come io vorrei essere amata da te?». Mentre pronunciava queste parole, la sua voce era accompagnata da una tale grazia, e un suono così dolce carezzava l’aria, che sembrava di sentire nell’aria l’armonioso canto delle Sirene. E mentre ero lì in estasi che la contemplavo e tutto il cielo intorno brillava di un non so che di più splendente, volli sapere il nome di quella dea. «E così» disse lei «la mia ancella non ti ha detto che mi chiamo Circe? Ma non sono figlia del Sole, e mia madre non fermò, a piacer suo, il corso del mondo. Eppure, se il destino vorrà vederci uniti, avrò lo stesso motivo di render grazie al cielo. Anzi, penso che un dio sia già all’opera con non so quali suoi taciti progetti. E non è senza un motivo che Circe ama Polieno: da sempre tra questi due nomi divampa una grande passione. Avanti, se ne hai voglia prendimi pure, e non temere se qualcuno ci vede, perché tanto il tuo fratellino non c’è». Così disse Circe e, abbracciandomi con quelle sue braccia morbide come la piuma, mi attirò a terra su un prato che era tutto colori.

Come i fiori che in vetta dell’Ida cosparse

la madre Terra, nel giorno in cui Giove si unì

al suo legittimo amore e l’ardere delle fiamma sentì nel petto:

brillarono le rose, le viole e il cipero dolce,

e risero i bianchi gigli sul verde del prato:

così ci invitava all’amplesso la terra su soffici erbe,

e candido il giorno inneggiava all’amore segreto.

Ugualmente avvinghiati in quel prato, ci divoravamo in un gioco di baci, nell’attesa del piacere più intenso.

CIRCE A POLIENO. «Ma cosa t’è preso?» sbottò a un tratto. «Forse ti danno fastidio i miei baci? Non avrò per caso l’alito cattivo per colpa del digiuno? O del sudore rancido sotto le ascelle? Ma se non è così, e lo credo, non sarà mica perché hai paura di Gitone?». E io, tutto rosso in faccia per la vergogna, persi anche quel poco di forze che mi restavano, e col corpo che mi si afflosciava dissi: «Non schernire, ti prego, o regina, le mie sventure: qui mi sa che sono vittima di una fattura».

*

CIRCE. «Criside, sii sincera, dimmi la verità: sono brutta? Non sono vestita come si deve? C’è qualche difetto che offusca la mia bellezza? Non ingannare la tua padrona. Non lo so proprio in cosa ho sbagliato». E dato che la ragazza non apriva bocca, le strappò di mano uno specchio e, dopo aver provato tutte le espressioni che la gioia di solito disegna sui volti degli innamorati, si aggiustò un attimo il vestito spiegazzato dal contatto con la terra e poi si infilò in fretta e furia nel tempio di Venere. Io invece, con la faccia da condannato e i brividi dappertutto come se avessi visto un fantasma, cominciai a chiedermi se non ero stato defraudato del vero piacere.

Così, nel sopore della notte, quando i sogni c’illudono

gli occhi errabondi e la terra sventrata ci mostra

alla luce dell’oro, rapace la mano soppesa il tesoro

e lo rapisce, sul volto si spande il sudore, stringe

il cuore la paura che possa qualcuno scoprire

il segreto e ci strappi dal grembo il bottino.

Quando poi l’illusione svanisce e al vero ritorna

la mente, brama l’animo ciò che ha perduto,

e nel sogno scomparso con tutti i suoi sensi s’aggira.

*

GITONE A ENCOLPIO. «E così ti ringrazio davvero per questo tuo amore socratico che hai verso di me. Nemmeno Alcibiade dormì così intatto nel letto del suo precettore».

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