Mag 302020
 

Allora l’immane contagio colpisce anche gli dèi.

E il cielo stesso fugge impaurito. Ed ecco che la mite schiera

dei numi abbandona sdegnata la terra impazzita,

lasciandosi dietro le spalle la folla dannata dei mortali.

Agitando le sue candide braccia, prima fra tutti la Pace

nasconde nell’elmo il capo sconfitto, e in fuga abbandona

la terra, riparando nel regno implacabile di Dite.

L’accompagna dimessa la Fede e sciolte le chiome

la Giustizia, e in lacrime la Concordia col mantello a brani.

Ma là dove s’apre squarciata la sede dell’Erebo,

sale in massa la schiera di Dite, l’orrida Erinni,

l’inquietante Bellona, e Megera armata di faci,

e Leto, e i Tradimenti e lo squallido fantasma della Morte.

In mezzo c’è il Furore che impazza con le redini infrante,

e il capo cruento solleva, coprendo con l’elmo cruento

il viso scavato da mille ferite. Nella sinistra regge

il logoro scudo di Marte, greve per gli infiniti dardi,

e impugna la destra minacciosa un tronco in fiamme

a spargere incendi nel mondo.

Sente gli dèi la terra, e gli astri cercano il peso di un tempo

nell’ordine sconvolto, perché tutta la reggia del cielo

si affretta a spaccarsi in due parti. Dione è la prima

a sorreggere le armi di Cesare amato, e Pallade le è vicina,

e insieme va Marte, che vibra l’immensa sua asta.

Con il Grande si schierano invece Febo e la sorella

e la prole Cillenia, e il dio di Tirinto che in tutto l’eguaglia.

Squillarono le trombe e su dallo Stige Discordia

coi crini discinti alta levò la sua testa d’inferno.

In bocca il sangue è un grumo e piangono lividi gli occhi,

i denti li incrostava una ruggine scabra, è marcia la lingua,

avvolta di serpi la faccia, il petto stretto in una lacera veste,

mentre la destra tremante brandiva una torcia con bagliori di sangue.

Com’ella lasciò il Tartaro e il Cocito avvolto nell’ombra,

con passi possenti raggiunge i gioghi del fiero Appennino,

di dove scrutare potesse tutte le terre e i lidi

e ovunque nel mondo brulicanti le caterve di armati,

e cotali parole riversa dal petto in fermento:

“Prendete o genti le armi, infiammatevi d’odio

e gettate con forza le torce nel cuore delle città!

Chi si cela cadrà: non rifiuti lo scontro la donna,

non fanciullo, non vecchio, se pure prostrato dagli anni,

ma tremi la terra stessa e insorgano i tetti in rovina.

Tu Marcello difendi la legge. Tu Curione aizza la plebe.

Non frenare, tu Lentulo, l’infuriare di Marte.

Ma perché dunque, tu figlio di dèi, tanto indugi nell’armi,

e non schianti le porte e non spezzi i bastioni ai castelli,

e tesori non strappi? E tu, o Grande, non sai proteggere

le rocche di Roma? Rifùgiati dentro Epidamno,

e con sangue di uomo tingi i tessali golfi!”.

E sulla terra accadde ciò che Discordia volle».

*

E mentre Eumolpo terminava con grande scioltezza di lingua la sua tirata in versi, finalmente entrammo a Crotone. Qui, dopo esserci rimessi un po’ in sesto in un alberghetto, il giorno seguente, mentre ci stavamo cercando una sistemazione un po’ più decorosa, ci imbattemmo in un gruppo di cacciatori di eredità, che ci chiesero chi fossimo e da dove venivamo. Attenendoci a quanto concertato nel piano, rispondemmo rifilando loro un sacco di frottole, riuscendo tranquillamente a convincerli sulla nostra identità e sulla nostra provenienza. E tra di loro fu subito una lotta accanita per mettere a disposizione di Eumolpo i propri beni.

*

Tutti quei cacciatori di eredità facevano a gara a colpi di regali per conquistarsi la simpatia di Eumolpo.

*

Era già da un bel pezzo che noi ce la spassavamo in quel modo a Crotone, ed Eumolpo, al settimo cielo dalla felicità, non si ricordava già più della sua condizione passata, al punto che cominciava a vantarsi con gli intimi dicendo che lì nessuno era in grado di resistergli e che se in quella città qualcuno dei suoi compari avesse commesso qualche reato, l’avrebbe passata liscia grazie all’influenza delle sue conoscenze. Io, però, anche se passavo la giornata a rimpinzarmi con tutto quel ben di dio che avevamo in eccesso ed ero ormai quasi convinto che la sfortuna avesse smesso di braccarmi come un cane, ciò non ostante pensavo spesso alla mia presente condizione e a come ci fossi arrivato. «Ma come la mettiamo se uno di questi sciacalli un po’ più furbo degli altri spedisce un investigatore in Africa e scopre la nostra messinscena? E se il servo di Eumolpo, nauseato da questo benessere, si lascia scappare qualcosa coi suoi amici, e da invidioso qual è ci tradisce svelando tutta la frode? Sicuramente bisognerebbe di nuovo alzare i tacchi e, proprio adesso che ci siamo scrollati di dosso la miseria, ci toccherebbe vivere da pezzenti. O dèi e dee, certo che è dura la vita dei fuorilegge! Sono sempre lì ad aspettarsi che arrivi quel che si meritano».

*

CRISIDE, ANCELLA DI CIRCE, A POLIENO. «Siccome lo sai di essere irresistibile, sei pieno di te, e i tuoi abbracci li vendi, invece di farne dono. A cosa ti servono tutti quei bei riccioli, quella faccia ritoccata dai cosmetici, quel tuo sguardo birichino, quel tuo sculettare ad arte, con passettini studiati apposta, se non per pubblicizzare le tue qualità per poi metterle in vendita? Stammi bene a sentire: io non sono una di quelle che sanno tutto di oroscopi e stanno a sentire gli astrologi, ma mi basta guardare in faccia le persone per capire che tipi sono, e se poi li vedo anche fare due passi sono capace di dirti pure quello che pensano. Bando alle ciance: sia che tu venda quello che cerco (e il compratore è già bello e pronto), sia – e sarebbe anche più carino da parte tua – che lo regali, datti da fare perché io ti sia grata. Se poi vai a raccontare in giro di essere uno schiavo e un morto di fame, guarda che accendi una ch’è già abbastanza in calore. Perché ci sono delle tipe che si eccitano solo con la feccia: gli basta vedere un servo o uno stalliere con la veste tirata un po’ su, e si infiammano subito. Altre, invece, le manda in fregola il circo, o un mulattiere impiastricciato di polvere, o ancora un attorucolo che si sia fatto un nome calcando le scene. La mia padrona è una di queste: lei salta oltre le quattordici file dei posti riservati nell’orchestra, per andarsi a prendere in mezzo alla gentaglia qualcuno che la faccia andare su di giri».

Ringalluzzito da tutte quelle lusinghe, io le dissi: «Ma dimmi un po’, saresti tu quella che spasima per me?». Ma la ragazza scoppiò a ridere a quella freddura e replicò: «Vacci piano con le arie. Finora, a letto con un servo non ci sono mai andata, e prego gli dèi di evitarmi rapporti intimi con gente destinata alla croce. Con tipi come quelli se la vedano un po’ le signore bene, che i segni delle frustate se li baciano pure. Quanto a me, con tutto che sono solo una serva, se non sono almeno dei cavalieri, non mi ci metto». Io rimasi a bocca aperta di fronte a una simile differenza di gusti, e non riuscivo a darmi pace che un’ancella avesse la superbia di una signora, e una signora la bassezza di un’ancella.

Dopo esserci scambiati ancora un bel po’ di battute, chiesi all’ancella di portarmi la sua padrona nel boschetto di platani. L’idea le andò a genio e… si tirò su per bene la tunica andandosi a infilare in mezzo alle macchie di alloro che costeggiavano il vialetto. Un attimo dopo riemerse dal nascondiglio insieme alla sua padrona, e io mi ritrovai accanto una donna che era meglio di qualunque statua. Per descriverne la bellezza non ci sono parole adeguate, perché tutto quello che potrei tirar fuori non sarebbe all’altezza della realtà. I capelli naturalmente ondulati le si spargevano ovunque sulle spalle, pettinati all’indietro a partire dalla fronte minuta, mentre le sopracciglia le correvano fino alla linea delle guance andandosi quasi a unire tra gli occhi, che erano più limpidi delle stelle nelle notti senza luna, il naso era appena arcuato e le labbrucce come quelle che Prassitele immaginò avesse Diana. Per non dire del mento, del collo, delle mani e dei piedi, così bianchi tra i giri di una catenina dorata, che il marmo di Paro avrebbe sfigurato al confronto. E così, fu allora che per la prima volta mi sembrò di non provare più nulla per Doride, la mia fiamma di un tempo.

*

Che ti succede, o Giove, che gettate a terra le armi

resti tacito in mezzi agli dèi, tu idolo muto?

Era questo il momento di ornare la fronte tua torva di corna

e nascondere i bianchi capelli con candide piume.

Ecco la vera Danae. Ma tu sfiorale il corpo soltanto,

si scioglieranno le membra per ardore di fiamma che brucia.

*

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