Giu 132020
 

ENCOLPIO A GITONE. «Mi devi credere, caro fratellino mio, ma mi sembra di non essere nemmeno più un uomo, di non provare più nulla. È ormai morta e sepolta quella parte del mio corpo, dove prima io ero un Achille».

*

Siccome il ragazzino temeva di dar adito a chiacchiere se lo trovavano lì con me, schizzò via come una furia e andò a rintanarsi nell’angolo più lontano della casa.

*

Ma a entrare nella mia stanza fu invece Criside, che mi consegnò un biglietto della sua padrona nel quale c’era scritto: «Caro Polieno, se io fossi una che bada solo ai sensi, sarei qui a lamentarmi per la delusione. Devo invece ringraziare la tua debolezza, perché mi ha permesso di godermi più a lungo i preliminari. Vorrei però sapere come ti senti e se a casa ci sei ritornato con le tue gambe, visto che, stando a quanto dicono i medici, senza nervi non si cammina più. Ascoltami bene, tesoro, occhio alla paralisi, perché uno mal preso come te non l’ho mica mai visto. Sei già mezzo spacciato, e se quel gelo ti arriva alle ginocchia e alle mani, puoi pure chiamare le pompe funebri. E allora? Anche se è grave l’offesa che ho ricevuto, non voglio negare la medicina a uno che sta così male. Se vuoi guarire, raccomandati a Gitone. Ti garantisco, riacquisterai le forze, se solo per tre notti non vai a letto col fratellino. Quanto a me, niente paura: se la fama e lo specchio non mi ingannano, qualcuno cui piacere lo trovo ancora. Stammi bene, se ci riesci».

Quando Criside vide che avevo finito di leggere quella presa in giro, disse: «Ma dài, son cose che succedono. Specie in questa città, dove le donne son capaci di tirarti giù perfino la luna dal cielo… Tranquillo che un rimedio lo troviamo. Tanto per cominciare, rispondi alla padrona buttandole giù qualche parola carina, e restituiscile coraggio col candore della sincerità. Perché è meglio ti dica come stanno le cose: da quando ha subito l’offesa, la mia padrona è fuori di sé». Seguii di buon grado il consiglio della ragazza e misi per iscritto quanto segue:

«Polieno a Circe: salve! Ti confesso, o mia regina, di aver peccato parecchio, ma sono un uomo e per giunta giovane. Prima di oggi però non ero mai incappato in un peccato mortale. Eccoti qua davanti un reo confesso: qualunque sia il tuo verdetto, sarà meritato. Mi son macchiato di tradimento, ho ucciso un uomo e ho profanato un tempio: trova tu un adeguato castigo per questi misfatti. Se ritieni che io debba morire, verrò da te con la mia spada; se ti basterà farmi frustare, allora correrò nudo dalla mia regina. Ricòrdati però di una cosa soltanto: non son stato io a fallire, ma l’arnese. Il soldato era pronto, sono state le armi a mancare. Chi abbia provocato il pasticcio, lo ignoro. Forse la smania interiore ha preso sul tempo gli indugi del corpo; o forse, volendoti tutta godere, ho sprecato il piacere prima del tempo. Non riesco a capire che diamine ho combinato. Mi dici poi di stare attento alla paralisi: come se ce ne fosse una ancora peggiore di questa, che mi ha impedito di farti mia. Eccoti però il succo delle mie scuse: vedrai che saprò soddisfarti, se solo mi darai modo di rimediare alla mia colpa».

*

Dopo aver congedato Criside con questa promessa, mi presi cura con ogni attenzione di quello sciagurato mio corpo, iniziando col ricorrere a un leggero massaggio, invece del solito bagno. Poi buttai giù della roba afrodisiaca, cioè cipolle e teste di lumaca senza salsa, con meno vino del solito. Poi, dopo aver fatto due passi, mi infiliai a letto senza Gitone. La voglia di far pace con Circe era così forte, da temere che il fratellino mi sfiorasse anche solo col fianco.

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