Set 282019
 

Tutta la stanza rimbombava di quelle risa farsesche, mentre noi, che non riuscivamo ancora a capire che cosa avesse causato un mutamento di umore tanto repentino, un po’ ci guardavamo negli occhi tra di noi, e un po’ fissavamo le donne.

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«È per questo che oggi ho dato istruzione di non fare entrare anima viva nella locanda, per avere da voi il rimedio alla terzana, senza che nessuno venga a interrompere». A queste parole di Quartilla, Ascilto rimase mezzo basito, mentre io, che dentro mi sentivo più freddo di un inverno in Gallia, non riuscivo a spiccicare verbo. A farmi escludere il peggio era la composizione del gruppo. Loro erano infatti solo tre donnicciole per giunta non troppo in forze e, se solo avessero osato farci qualche brutto tiro, noi per lo meno avevamo dalla nostra il sesso. Inoltre, con la tunica tirata in su eravamo anche meno lenti. Ad ogni modo avevo già studiato gli accoppiamenti nel caso si fosse arrivati al corpo a corpo: io me la sarei vista con Quartilla, Ascilto con l’ancella e Gitone con la ragazzina.

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In quel momento rimanemmo sbigottiti e sentimmo che le forze ci venivano meno, mentre una morte certa cominciava a offuscare gli occhi di noi poveracci.

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«Signora», dico, «se hai in mente qualcosa di peggio, vedi di metterlo in pratica in fretta, perché non abbiamo commesso un delitto tanto grave da morire tra mille tormenti».

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L’ancella che si chiamava Psiche stese con cura una coperta sul pavimento.

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Mi maneggiò gli attributi che ormai erano freddi come se fossero morti un migliaio di volte.

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Ascilto aveva nel mentre infilato la testa nel mantello, perché era stato messo in guardia sul rischio di ficcare il naso nei segreti affari altrui.

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L’ancella tirò fuori di tasca due cordicelle, usandone prima una e poi l’altra per legarci mani e piedi.

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Ascilto, vedendo che la conversazione era arrivata a un punto morto: «Che diamine?» disse «Possibile che non mi venga versato un goccetto?». E l’ancella, chiamata in causa dalla mia risata, batté le mani e dichiarò: «Cocco, io l’ho messo qua… Ti sarai mica bevuto da solo tutta quella roba?». «Cosa?» interruppe Quartilla «Encolpio s’è scolato tutto il satirio che c’era?».

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Ancheggiò senza tanto sbracarsi in risate.

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Perfino Gitone alla fine scoppiò a ridere, specie quando la ragazzina gli si avvinghiò al collo, cominciando a inondarlo di baci cui lui non diceva certo di no.

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Disperati come eravamo, avremmo voluto chiedere aiuto, ma non c’era un cane che ci potesse dare una mano. E non appena io cercavo di attirare l’attenzione dei passanti, Psiche mi punzecchiava le guance con una forcina da capelli, mentre la ragazzetta tormentava Ascilto con un pennellino ugualmente imbevuto di satirio.

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Per ultimo sopraggiunse un culattone in vestaglia color mirto con tanto di cintura… si venne a strusciare addosso a noi agitando le natiche e ci insozzò con dei baci schifosi, finché Quartilla, con una stecca di balena in mano e la gonna tirata su, gli intimò di aver pietà di noi e di lasciarci tirare il fiato.

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Con formule sacrosante giurammo tutti e due che un segreto tanto terribile ce lo saremmo portati nella bara.

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Entrarono dei massaggiatori in massa che ci unsero da capo a piedi di olio di oliva rimettendoci in sesto. Così, non sentendo più la stanchezza, indossammo gli abiti per la cena e fummo portati in una camera attigua dove c’erano tre letti pronti all’uso e una parata di leccornie imbandite come dio comanda. Ci dissero di sdraiarci e subito attacchiamo con un antipasto incredibile che inondiamo addirittura con del Falerno. Rimpinzati da molti altri manicaretti, quando ormai stiamo per franare nel sonno, Quartilla interviene: «Non penserete mica di andarvene già a letto, quando sapete benissimo che questa notte va dedicata per intero al culto di Priapo?».

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