Feb 152019
 

Dopo la morte di un essere umano, si sprigiona sempre un senso di stupore tanto è difficile capacitarsi di questo sopravvenire del nulla e rassegnarsi a credervi. Quando Charles si accorse dell’immobilità di Emma, si gettò su di lei gridando:

«Addio! Addio!»

Homais e Canivet lo trascinarono fuori della stanza.

«Si calmi!»

«Sì,» diceva lui dibattendosi «sarò ragionevole, non farò niente di male. Ma lasciatemi! Voglio vederla! È mia moglie!»

E piangeva.

«Pianga,» disse il farmacista «si sfoghi, questo l’aiuterà!»

Divenuto più debole di un fanciullo, Charles si lasciò condurre dabbasso, nel salotto, e il signor Homais ben presto se ne andò a casa.

Sulla piazza gli si avvicinò il cieco che si era trascinato fino a Yonville fiducioso nella pomata antiflogistica, domandando a ogni passante dove abitasse lo speziale.

«Andiamo bene! Come se non avessi nient’altro da fare! Peggio per te, torna più tardi!»

E Homais entrò precipitosamente in farmacia.

Doveva scrivere due lettere, preparare una pozione calmante per Bovary, studiare una bugia per nascondere l’avvelenamento e redigere un articolo per il Faro di Rouen, senza contare le persone che lo aspettavano per avere notizie; quando tutti gli abitanti di Yonville ebbero ascoltato la storia dell’arsenico che la signora Bovary aveva scambiato per zucchero, preparando una crema alla vaniglia, Homais tornò di nuovo da Bovary.

Lo trovò solo (il signor Canivet se n’era andato), seduto nella poltrona vicino alla finestra, che contemplava con uno sguardo inebetito il pavimento della stanza.

«Bisognerà adesso» disse il farmacista «che lei stesso fissi l’ora per la cerimonia.»

«Perché? Quale cerimonia?»

Poi, con voce balbettante, sbigottita:

«Oh! No, vero? No, voglio tenerla qui».

Homais, per darsi un contegno, prese una bottiglia sulla credenza e si mise a innaffiare i gerani.

«Ah! Grazie,» disse Charles. «Com’è buono lei!»

E non terminò, soffocato sotto un cumulo di ricordi che il gesto del farmacista aveva fatto affiorare.

Allora, per distrarlo, Homais ritenne opportuno parlare un po’ di giardinaggio; le piante avevano bisogno di umidità. Charles abbassò la testa in segno di approvazione.

«Del resto sta per tornare la bella stagione.»

«Ah!» fece Bovary.

Lo speziale, a corto di idee, scostò un poco le tendine della finestra.

«Guarda, ecco il signor Tuvache che sta passando.»

Charles ripeté, come un automa:

«Il signor Tuvache sta passando».

Homais non ebbe il coraggio di accennare ancora alle disposizioni funebri; riuscì invece il sacerdote a convincere Charles.

Questi si chiuse nello studio, prese una penna, e, dopo aver singhiozzato per un po’, scrisse:

 

 

Voglio che sia sepolta con l’abito da sposa, le scarpe bianche e una coroncina. I capelli le saranno sciolti sulle spalle e sarà posta entro tre casse, una di quercia, una di mogano e una di piombo. Non mi si dica nulla, sarò forte. La si ricopra con una gran coltre di velluto verde. Lo voglio. Fatelo.

 

 

Rimasero tutti molto stupiti delle idee romantiche di Bovary, e subito il farmacista andò a dirgli:

«Questo velluto mi sembra un di più. Considerando la spesa…».

«Forse che questo la riguarda?» gridò Charles «Mi lasci in pace! Lei non l’amava! Se ne vada!»

Il sacerdote lo prese sottobraccio per condurlo a fare un giro in giardino. Parlò della vanità delle cose terrene. Dio era infinito, la bontà stessa; bisognava sottomettersi senza ribellarsi ai suoi decreti, addirittura ringraziarlo.

Charles proruppe in frasi blasfeme.

«Odio il suo Dio!»

«Lo spirito di ribellione è ancora in lei» sospirò il sacerdote.

Bovary era lontano. Camminava a grandi passi lungo il muro, vicino alle spalliere, e digrignava i denti. Alzò al cielo sguardi di maledizione, ma non una foglia si mosse.

Cadeva una pioggia leggera. Charles, che aveva il petto scoperto, finì per rabbrividire, rientrò e sedette in cucina.

Alle sei si sentì un rumore di ferraglia sulla piazza: stava arrivando la Rondine; egli rimase con la fronte contro i vetri, a guardare scendere uno dopo l’altro tutti i viaggiatori. Félicité gli preparò un letto di fortuna nel salotto; Charles vi si gettò e si addormentò.

 

 

Per quanto filosofo, il signor Homais rispettava la morte. Così, senza serbare rancore al povero Charles, ritornò la sera per la veglia funebre, portando con sé tre volumi e un taccuino per prendere appunti.

Don Bournisien si trovava già lì e due grandi ceri ardevano al capezzale del letto, che era stato tirato fuori dell’alcova.

Lo speziale, al quale il silenzio pesava, non tardò a esprimere il proprio compianto per quella sfortunata giovane, e il prete rispose che non rimaneva altro, ormai, se non pregare per lei.

«Eppure,» continuò Homais «delle due cose l’una: o è morta in istato di grazia (come si esprime la Chiesa), e allora non ha bisogno delle nostre preghiere, o è morta impenitente (questa è, io credo, l’espressione ecclesiastica) e allora…»

Don Bournisien l’interruppe, ribattendo in tono brusco che era ugualmente necessario pregare.

«Ma poiché Dio conosce tutti i nostri bisogni,» obiettò il farmacista «a cosa può servire la preghiera?»

«Come?» fece il sacerdote «La preghiera! Non è cristiano allora, lei?»

«Mi perdoni!» disse Homais «Io ammiro il Cristianesimo. Ha innanzitutto liberato gli schiavi, introdotto nel mondo una morale…»

«Non si tratta di questo! Tutti i testi…»

«Oh! Oh! In quanto ai testi, ne apra uno di storia, si sa benissimo che sono stati falsificati dai gesuiti.»

Charles entrò e venne avanti verso il letto, poi tirò lentamente le cortine.

Emma aveva il capo inclinato sulla spalla destra. L’angolo della bocca aperta formava un buco nero nella parte bassa del viso. I pollici rimanevano piegati contro il palmo delle mani, qualcosa di simile a una polvere bianca era sparso sulle ciglia e gli occhi cominciavano a sparire in un pallore vischioso simile a una tela sottile quasi i ragni ve la avessero tessuta sopra. Il lenzuolo, dal seno fino alle ginocchia, formava una convessità, sollevandosi poi sulle punte degli alluci. A Charles pareva che masse infinite, pesi enormi, gravassero su di lei.

L’orologio della chiesa suonò le due. Si sentiva il rumoreggiare del fiume che scorreva nelle tenebre, ai piedi della terrazza. Don Bournisien, di tanto in tanto, si soffiava fragorosamente il naso e Homais faceva scricchiolare la penna sul foglio.

«Andiamo, mio buon amico,» disse lo speziale «non rimanga qui, questo spettacolo la strazia.»

Non appena Charles si fu allontanato, il farmacista e il curato ripresero la discussione.

«Legga Voltaire!» diceva l’uno «Legga D’Holbach, legga l’Enciclopedia!»

«Legga Le lettere di alcuni ebrei portoghesi!» diceva l’altro. «Legga La ragione del Cristianesimo, di Nicolas, l’ex magistrato!»

Si scaldavano, diventavano rossi, parlavano contemporaneamente senza ascoltarsi. Bournisien si scandalizzava di tanta audacia; Homais si meravigliava di tanta ingenuità e mancava poco che si scagliassero ingiurie quando Charles d’improvviso ricomparve. Un incantesimo lo attirava. Risaliva continuamente quelle scale.

Si mise davanti a lei per vederla meglio e si perdette in quella contemplazione che finiva per non essere più dolorosa, tanto era profonda.

Ricordava tutto quello che aveva sentito dire sulla catalessi, i miracoli del magnetismo, e si diceva che, volendolo con tutte le forze, sarebbe potuto riuscire, forse, a risuscitarla. Una volta si chinò addirittura su di lei sussurrandole: «Emma! Emma!» Il suo ansimare violento faceva tremare la fiamma dei ceri contro il muro.

La signora Bovary madre giunse all’alba; Charles, abbracciandola, ebbe una nuova crisi di pianto. Anche lei tentò, come già aveva fatto il farmacista, di esprimere qualche riserva sulla spesa della sepoltura. Charles si adirò tanto che la madre non osò più parlare; egli la incaricò addirittura di andare subito in città per le compere necessarie.

Charles rimase solo tutto il pomeriggio, Berthe era stata condotta dalla signora Homais. Félicité stava di sopra nella camera con mamma Lefrançois.

La sera ricevette le visite di rito. Si alzò, strinse le mani senza riuscire a parlare, poi sedette accanto agli altri che facevano un gran semicerchio davanti al fuoco. Con il viso basso e le gambe accavallate, i visitatori facevano dondolare un piede, sospirando di tanto in tanto; ognuno si annoiava enormemente, ma nessuno se ne voleva andare prima degli altri.

Quando Homais tornò alle nove (non si vedeva che lui, sulla piazza, da due giorni a quella parte), portava con sé una provvista di benzoino, di canfora e di erbe aromatiche. Aveva anche un recipiente pieno di cloro per allontanare i miasmi.

In quel momento la domestica, la signora Lefrançois e la signora Bovary madre, stavano intorno a Emma per finire di vestirla: abbassarono il lungo velo rigido che la copriva fino alle scarpe di raso.

Félicité singhiozzava:

«Ah! La mia povera padrona! La mia povera padrona!»

«Guardatela» diceva sospirando l’albergatrice «come è ancora graziosa! Ci si aspetta di vederla alzare da un momento all’altro!»

Poi si chinarono su di lei per metterle la coroncina.

Fu necessario sollevarle un poco il capo e allora un fiotto di liquido nero, uscì come vomito, dalla bocca.

«Ah! Mio Dio! L’abito! Fate attenzione!» gridò la signora Lefrançois «Ci aiuti, suvvia!» disse al farmacista «Non avrà mica paura, per caso?»

«Paura io?» rispose lui, alzando le spalle «Ah! Proprio no! Ho visto ben altro all’ospedale, quando studiavo farmacia! Ci facevamo il ponce nell’anfiteatro delle autopsie. Il nulla non spaventa un filosofo e ho addirittura intenzione, e lo dico spesso, di lasciare il mio corpo agli ospedali perché possa più tardi servire alla scienza.»

Il curato, appena giunse, domandò come stava Bovary, e, avuta risposta dal farmacista, continuò:

«Il colpo, capirà, è ancora troppo recente!»

Allora Homais si felicitò con lui perché non era esposto come tutti gli altri a perdere l’amata compagna, e di qui prese l’avvio una discussione sul celibato dei preti.

«Non è normale che un uomo faccia a meno delle donne! Ci sono stati delitti…»

«Ma, santa pazienza!» esclamò il sacerdote «Come può credere che un uomo sposato possa mantenere, per esempio, il segreto della confessione?»

Homais attaccò la confessione. Don Bournisien la difese e si dilungò sulle redenzioni che riusciva a ottenere. Citò diversi aneddoti di ladri divenuti all’improvviso onesti. Militari che si erano avvicinati al tribunale della penitenza avevano finalmente veduto chiaro. C’era un sacerdote a Friburgo…

Il suo compagno dormiva. Si soffocava un po’ nell’atmosfera pesante della camera e il curato aprì la finestra, svegliando così il farmacista.

«Via, accetti una presa!» gli disse «Questa aiuta a rischiarare la mente.»

Un abbaiare prolungato si trascinava lontano, in qualche luogo, chissà dove.

«Lo sente anche lei un cane che ulula?» chiese il farmacista.

«Si dice che si accorgano quando ci sono dei morti» rispose il sacerdote. «Come le api che si allontanano dall’arnia non appena qualcuno muore.» Homais non contestò questi pregiudizi perché si era riaddormentato.

Don Bournisien, più resistente, continuò per qualche tempo a muovere le labbra, sussurrando, poi insensibilmente, abbassò il mento, lasciò cadere il grosso libro nero e si mise a ronfare. Rimasero l’uno di fronte all’altro, il ventre sporgente, il viso gonfio, l’aria accigliata; dopo tante divergenze, si trovavano infine d’accordo nella medesima debolezza umana, e non si muovevano più del cadavere accanto a loro, che aveva l’aria di dormire anch’esso.

Charles, entrando, non li svegliò. Veniva a dare l’estremo addio alla moglie.

Le erbe aromatiche erano ancora accese e turbini di fumo azzurrognolo si confondevano sul davanzale della finestra con la nebbia che entrava. Splendeva qualche stella e la notte era tiepida.

La cera delle candele cadeva a grosse lacrime sulle lenzuola del letto. Charles le guardava bruciare stancandosi gli occhi alla luce della loro fiamma gialla. Qua e là il raso, bianco come il chiaro di luna, fremeva sotto un riflesso marezzato. Emma spariva sotto la veste candida e a Charles sembrava di vedere la moglie che, quasi dilatandosi al di fuori di se stessa, si perdesse confusamente nelle cose intorno, nel silenzio, nella notte, nel soffio del vento, nei sentori umidi che si alzavano.

D’improvviso la rivide, in giardino, a Tostes, sulla panchina, contro la siepe spinosa, oppure a Rouen, per la via, sulla soglia di casa, nell’aia dei Bertaux. Sentiva ancora le risa dei giovani in festa che danzavano sotto i meli; la camera era piena del profumo dei suoi capelli e l’abito frusciava nelle sue braccia con un crepitio di scintille. Era lo stesso abito, quello!

Rimase a lungo a ricordare così tutte le felicità scomparse, i suoi atteggiamenti, i gesti, il timbro della voce di lei. La disperazione non aveva soste, un’ondata seguiva l’altra come una marea traboccante.

Provò una terribile curiosità; adagio, con la punta delle dita, palpitando, sollevò il velo. Ma lanciò un grido d’orrore che svegliò gli altri. Lo trascinarono di nuovo in salotto al pianterreno.

Poi venne Félicité a dire che desiderava una ciocca di capelli.

«La tagli!» disse lo speziale.

E, siccome la ragazza non ne aveva il coraggio, si fece avanti lui stesso, con le forbici in mano. Tremava con tanta violenza che intaccò la pelle delle tempie in più punti. Alla fine, irrigidendosi contro la sensazione che lo turbava, diede due o tre colpi di forbice a caso, provocando altrettante chiazze bianche in quella bella capigliatura nera.

Il farmacista e il curato si immersero ancora una volta nelle proprie occupazioni, non senza schiacciare un pisolino di tanto in tanto, cosa di cui si accusavano a vicenda a ogni nuovo risveglio.

Allora don Bournisien aspergeva la camera d’acqua benedetta e Homais spruzzava un po’ di cloro sul pavimento.

Félicité aveva avuto cura di mettere per loro, sul cassettone, una bottiglia di acquavite, del formaggio e una grossa pagnotta. Così, verso le quattro del mattino, il farmacista, che non ne poteva più, sospirò:

«Per la verità mangerei volentieri qualcosa!»

Il sacerdote non si fece pregare; uscì per andare a dire la messa, ritornò, poi mangiarono e bevvero ridacchiando un po’, senza sapere bene perché, eccitati da quella vaga gaiezza che assale dopo una troppo grande e prolungata malinconia, e, all’ultimo bicchierino, il prete disse al farmacista battendogli la mano sulla spalla:

«Finiremo per andare d’accordo!»

Incontrarono dabbasso, nell’ingresso, gli operai che arrivavano. Da quel momento Charles dovette sopportare per due ore il supplizio dei martelli che risonavano sulle assi. Poi la morta venne messa nella cassa di quercia, a sua volta posta entro le altre due; ma siccome la bara era troppo larga, fu necessario imbottirne gli interstizi con la lana di un materasso. Alla fine, quando i tre coperchi furono piallati, inchiodati, saldati, esposero il feretro davanti alla porta. La casa venne aperta e la gente di Yonville cominciò ad affluire.

Arrivò anche papa Rouault e svenne non appena vide i drappi neri.

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