Ott 062018
 

Ai primi freddi, Emma lasciò la sua camera per trasferirsi nella sala, uno stanzone lungo, dal soffitto basso, dove, sopra il caminetto, una fitta madrepora si allargava sullo specchio. Seduta nella poltrona vicino alla finestra, ella guardava passare sul marciapiede la gente del villaggio.

Léon, due volte al giorno, andava dallo studio al Leon d’Oro; Emma lo sentiva arrivare da lontano; si protendeva ascoltando, e il giovane vestito sempre allo stesso modo e senza voltare la testa passava, rapido, al di là della tenda. Ma al crepuscolo, quando lei abbandonava sulle ginocchia il ricamo incominciato e restava lì, con il mento appoggiato alla mano sinistra, spesso l’apparizione di quell’ombra che scivolava all’improvviso la faceva trasalire. Si alzava e ordinava che apparecchiassero la tavola.

Il signor Homais arrivava mentre cenavano. Con la papalina in mano, entrava a passi felpati, per non disturbare nessuno, e ripeteva sempre la stessa frase: «Buonasera a tutta la compagnia!» Poi, quando si era accomodato al suo posto, vicino alla tavola, fra moglie e marito, domandava al medico notizie dei suoi ammalati, e il medico lo consultava per i possibili onorari. In seguito si mettevano a discorrere di quel che riferiva il giornale. Homais, a quell’ora, lo sapeva quasi a memoria; e lo ripeteva integralmente con tutti i commenti dell’articolista e tutte le notizie di catastrofi individuali e collettive accadute in Francia o all’estero. Esaurito l’argomento, non tardava a portare il discorso sulle vivande che vedeva. A volte si alzava a mezzo per indicare con delicatezza alla signora il pezzo più tenero, oppure si rivolgeva alla domestica dandole consigli sulla preparazione di intingoli, e sulla digeribilità dei condimenti; parlava di aromi, di droghe, di succhi e di gelatine in maniera tale da lasciar sbalorditi. Aveva la testa più piena di ricette di quanto la sua farmacia non lo fosse di boccali ed eccelleva nella preparazione di ogni sorta di marmellata, aceti, e liquori dolci; conosceva inoltre tutte le novità in fatto di pignatte economiche, l’arte di conservare i formaggi e di sanare i vini malati

Alle otto veniva Justin a chiamarlo per chiudere la farmacia. Allora Homais lo guardava con aria furba, soprattutto se era presente anche Félicité, perché si era accorto che il suo allievo frequentava volentieri la casa del medico.

«Il mio giovanotto» diceva «comincia a mettersi delle idee in capo, e io credo, che il diavolo mi porti, che si sia innamorato della vostra domestica.»

Ma il difetto più grave che Homais gli rimproverava era quello di ascoltare continuamente le conversazioni. La domenica, per esempio, non erano capaci di farlo uscire dal salone, dove la signora Homais l’aveva fatto venire per accompagnare a letto i ragazzini, che si addormentavano sulle poltrone facendo scivolare giù, con la schiena, le fodere di calicò troppo larghe.

Le serate in casa del farmacista non erano molto affollate: la sua maldicenza, le sue opinioni politiche avevano allontanato da lui, poco alla volta, molte persone rispettabili. Léon non mancava mai. Appena sentiva il campanello correva incontro alla signora Bovary, le prendeva lo scialle e metteva in un canto, sotto il banco della farmacia, le grosse pantofole di pezza che ella portava sopra le scarpe quando nevicava.

Facevano prima qualche partita a trentuno, poi il signor Homais giocava all’écarté con Emma; Léon, standole alle spalle, le dava consigli. In piedi, le mani appoggiate allo schienale della sedia, guardava i denti del pettine affondato nello chignon. A ogni movimento che ella faceva per gettare le carte, l’abito, sulla parte destra, si alzava un poco sul collo. Dai capelli raccolti le scendeva sulle spalle una sfumatura scura che si andava man mano schiarendo, perdendosi infine nell’ombra. L’abito le ricadeva dai due lati della sedia, gonfio e pieno di pieghe, fino a terra. Quando Léon per caso si accorgeva di avervi posato sopra la suola di una scarpa, la ritirava in fretta come se avesse calpestato qualcosa di vivo.

Terminata la partita a carte, lo speziale e il medico giocavano a domino mentre Emma, cambiando posto, si appoggiava con i gomiti sulla tavola e sfogliava l’illustrazione. Di solito portava il giornale di mode. Léon le si metteva vicino, guardavano insieme le figure e si aspettavano a vicenda in fondo a ogni pagina prima di voltarla. Spesso Emma lo pregava di recitarle qualche verso; Léon li declamava con una voce strascicata che diveniva diligentemente sospirosa nei punti in cui si parlava d’amore. Ma il rumore dei pezzi del domino lo disturbava. Il signor Homais era forte al gioco e batteva in pieno Charles. Raggiunti i trecento punti, venivano tutt’e due a distendersi davanti al camino e non tardavano ad addormentarsi. Il fuoco moriva sotto la cenere, la teiera era vuota. Léon continuava a leggere, Emma l’ascoltava, facendo girare macchinalmente il paralume di garza della lampada, sul quale erano dipinti pagliacci in carrozza e ballerine sulla corda, tenute in equilibrio dal bilanciere. Léon si interrompeva, indicando con un gesto l’uditorio addormentato; incominciavano allora a parlare a voce bassa e la conversazione sembrava più dolce perché nessuno l’ascoltava.

Venne così a determinarsi fra loro una sorta di associazione, uno scambio ininterrotto di libri e di romanzi. Il signor Bovary poco geloso di carattere, non ci faceva caso.

Per il suo onomastico ricevette in dono una bella testa per studi di frenologia, tutta piena di cifre fino al torace e dipinta di azzurro. Era una cortesia del giovane impiegato. Léon gliene usava molte altre, gli faceva perfino le commissioni a Rouen e, dato che un romanzo aveva lanciato la moda delle piante grasse, ne acquistava per la signora, tenendosele sulle ginocchia durante il viaggio sulla Rondine e pungendosi continuamente le dita con i loro aculei.

Emma fece sistemare, sulla finestra, una fioriera per mettervi i suoi vasi giapponesi. Anche Léon ebbe il suo giardinetto pensile; potevano vedersi da una finestra all’altra, mentre si occupavano entrambi delle loro piantine.

Fra le finestre del villaggio, ve n’era una occupata ancora più spesso: infatti, la domenica, da mattina a sera e ogni pomeriggio, quando il tempo era buono, si vedeva all’abbaino di un solaio il profilo magro del signor Binet chino sul tornio il cui ronzio monotono si faceva sentire fino al Leon d’Oro.

Una sera, rientrando, Léon trovò nella sua camera un tappeto di velluto chiaro su cui erano ricamati tralci di foglie in lana. Chiamò allora la signora Homais, il signor Homais, Justin, i bambini, la cuoca; ne parlò al suo principale; tutti vollero vedere questo tappeto; ma perché la moglie del medico faceva regali al giovane di studio? Questo parve strano, e tutti finirono per convincersi che Emma fosse la sua buona amica.

Léon lo lasciava supporre, tanta era la sua insistenza nel parlare del fascino e dello spirito della signora Bovary, a tal punto che Binet, una volta, gli rispose assai bruscamente:

«Che cosa me ne importa, dal momento che non faccio parte delle sue amicizie?»

Léon si torturava per trovare il modo di dichiararsi; e, sempre incerto fra il timore di dispiacerle e la vergogna di essere tanto pusillanime, piangeva di scoraggiamento e di desiderio. Prendeva decisioni energiche, scriveva lettere che poi stracciava, fissava termini che immancabilmente finiva col rimandare. Spesso si metteva in cammino, deciso a ogni audacia; ma la fermezza dei propositi svaniva subito alla presenza di Emma e, quando arrivava Charles e l’invitava a salire con lui sul carrozzino per andare insieme a visitare qualche malato nei dintorni, accettava senza esitazioni, salutava la signora e se ne andava. Dopo tutto, il marito non era forse qualcosa di lei?

Quanto a Emma, evitava di domandarsi se lo amasse. Era convinta che l’amore dovesse arrivare di colpo, accompagnato da luci e fragori, simile a un uragano celeste che piomba sulla vita, la sconvolge, travolgendo la volontà come foglie secche, e trascina ogni sentimento nell’abisso. Non sapeva che la pioggia a goccia a goccia crea laghetti sulle terrazze delle case, quando le grondaie sono otturate, e avrebbe continuato a credersi al sicuro se d’improvviso non avesse scoperto una falla nelle sue difese

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