Nov 162015
 

Durante gli intervalli di maggiore calma, Charles mi raccontò di sé con parole che risultarono vere. Era l’unico figlio di un uomo che con un modesto impiego all’ufficio imposte spendeva più del suo reddito e aveva dato a questo giovane gentiluomo un’istruzione molto scarsa e nessuna preparazione per una professione. Aveva invece deciso di provvedere a lui comprandogli un grado nell’esercito, sempre che fosse riuscito a racimolare il danaro necessario, oppure a ottenerlo a interesse: progetto nel quale c’era più desiderio che speranza. In mancanza di un piano più concreto, questo padre sprovveduto aveva lasciato crescere il figlio, un giovane di grandi promesse, fino all’età della virilità o poco meno, in un ozio quasi completo e, fra l’altro, non si era preoccupato di dargli i comuni insegnamenti o consigli contro i vizi della città, i pericoli di ogni genere che incontrano gli inesperti e gli incauti. Charles viveva in casa con suo padre, il quale aveva anche un’amante. Per il resto, purché il figlio non gli chiedesse danaro, con lui era abbastanza gentile. Poteva dormire fuori casa quando voleva, bastava una scusa qualsiasi, e anche i suoi rimproveri erano così miti da far supporre più una certa connivenza che un serio controllo o una costrizione. Ma, per far fronte alle sue necessità finanziarie, Charles aveva, da parte della madre morta troppo presto, una nonna che gli dava tutto quello che poteva. Ella aveva una rendita annuale considerevole e donava a quel suo nipote favorito ogni scellino di cui potesse fare a meno, suscitando un po’ di gelosia nel padre del ragazzo, il quale si lamentava non perché la nonna favorisse, così, certe stravaganze di Charles, bensì perché preferiva Charles a lui, e ben presto vedrà quale fatale cambiamento quella gelosia mercenaria provocò nell’animo di un padre.

Il generoso affetto della nonna permise a Charles di mantenere un’amante, accontentabile come l’amore mi rendeva. Fu la mia buona fortuna, così la devo chiamare, a mettermi sulla sua strada proprio quando egli si era messo in cerca di una donna.

Grazie al suo carattere e alla dolcezza, Charles sembrava nato per la felicità domestica: era tenero, gentile ed educato. Non sarebbe stata certo colpa sua se litigi o animosità avessero turbato la calma che sapeva mantenere e recuperare così bene. Pur non possedendo le brillanti qualità che fanno di un uomo un genio, o che almeno lo portano all’attenzione del mondo, aveva però quelle modeste doti che conferiscono merito sociale: un semplice buon senso, unitamente alla grazia di modestia e bontà, faceva di lui una persona, se non ammirata, almeno amata e stimata. Ma poiché all’inizio solo la sua bellezza aveva attirato i miei sguardi e suscitato in me la passione, non ero allora in grado di giudicare quei meriti morali che avrei scoperto in seguito. Tanto che, a quell’età, così sconsiderata e leggera, le stesse qualità morali non avrebbero minimamente sfiorato il mio cuore, se fossero state detenute da un uomo meno adatto a colpire i miei sguardi e ad accendere i miei sensi. Ora torniamo a dove ero rimasta.

Dopo aver pranzato a letto nel più voluttuoso disordine, Charles si alzò e, salutandomi con passione, disse che mi avrebbe lasciata per qualche ora. Doveva andare in città per consultare un giovane e astuto avvocato, per andare insieme a lui dalla mia venerabile padrona dalla quale ero fuggita solo il giorno prima. Voleva sistemare ogni cosa con lei in modo da eliminare per sempre ogni eventuale rivendicazione da parte sua.

Ma, mentre si dirigevano verso la casa, il giovane avvocato, riflettendo su quanto Charles gli aveva raccontato, vide la possibilità di cambiare lo scopo della loro visita, e anziché offrire soddisfazione, pensò di chiederla.

Non appena entrati, le ragazze della casa si affollarono intorno a Charles, che conoscevano bene, e poiché ignoravano il nostro incontro e non sospettavano minimamente la sua complicità nella mia fuga, cominciarono a corteggiarlo insieme al suo compagno, che ritenevano un nuovo allocco. L’avvocato le interruppe subito chiedendo della padrona, con la quale, aggiunse con l’aria grave di un giudice, aveva degli affari da discutere.

Chiamata la madama, e invitate le signorine a lasciare la stanza, l’avvocato le chiese con severità se avesse conosciuto e corrotto, con il pretesto di un posto da inserviente, una giovane ragazza appena venuta dalla campagna, che rispondeva al nome di Frances o Fanny Hill, e mi descrisse, servendosi di ogni particolare fornitogli da Charles.

È caratteristica del vizio tremare davanti alle domande della giustizia, e la signora Brown, la cui coscienza non era certo tranquilla nei miei confronti, per quanto furba ed esperta nel destreggiarsi tra i pericoli della sua professione, non poté fare a meno di preoccuparsi davanti a tale domanda, soprattutto quando l’avvocato si mise a citare giudici di pace, di Newgate, di Old Bailey, atti d’accusa come tenutaria di bordello e pene come la deportazione o la gogna. Ella, immaginando forse che io avessi sporto una denuncia contro la sua casa, impallidì e si mise sciorinare mille scuse e proteste. Comunque, per farla breve, i due lasciarono la casa trionfanti, portando via la mia famosa cassa, sulla quale, se la signora non fosse stata così spaventata, avrebbe certo speculato, e ottennero perfino una dichiarazione con la quale venivo liberata da qualsiasi rivendicazione da parte della casa. E tutto ciò non costò loro più di una coppa di «punch», che rifiutarono insieme alla possibilità di una ragazza. Charles, per tutto il tempo, si comportò come se fosse un compagno occasionale dell’avvocato, il quale l’aveva portato con sé solo perché conosceva il luogo, fingendo di non esser per nulla interessato alla faccenda. Comunque, si accorse con piacere che il mio racconto corrispondeva a verità, almeno finché le paure di quella meretrice le permisero di entrare nel merito della mia storia, e non fu una cosa breve, data la dovizia di dettagli nella quale entrò.

Phoebe, la mia cara tutrice, in quel momento era uscita, credo a cercare me, altrimenti la storiella imbastita dei miei amici non sarebbe passata altrettanto facilmente.

Questi negoziati richiesero parecchio tempo, che a me sarebbe parso molto più lungo, lasciata da sola in un luogo sconosciuto, se la locandiera, una donna molto materna, alla quale Charles mi aveva raccomandata, non fosse venuta a farmi un po’ di compagnia. Prendemmo il tè insieme e le sue chiacchiere mi distrassero, poiché il mio amato ne fu l’argomento principale. Ma quando si fece sera, e l’ora stabilita passò senza che lui si fosse tornato, non potei allontanare da me un alone d’impazienza e le dolci paure che nel nostro sesso l’amore provoca in proporzione alla sua intensità.

Però non dovetti soffrire a lungo: la vista di lui mi ripagò presto di ogni timore, e i deboli rimproveri che avevo preparato morirono sulle mie labbra non appena le baciò.

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