Set 292015
 

Il giovane era appena sceso, quando la vecchia signora balzò su con un guizzo di giovinezza che, senza dubbio, derivava dalla rinfrescata appena ricevuta, e dopo averlo fatto sedere iniziò a baciarlo, ad accarezzargli e pizzicargli le guance e a giocherellare con i suoi capelli. Egli ricevette tutte quelle attenzioni con aria indifferente e fredda, il che lo fece apparire ben diverso da come mi era apparso in precedenza, quando si era fatto strada attraverso la breccia.

La mia pia istitutrice, tuttavia, non disdegnando qualche aiutino, aprì una bottiglia di cordiale che teneva accanto al letto e gliene offrì un’abbondante sorso. In seguito, dopo una breve chiacchierata amorosa, la signora si sistemò accanto a lui, ai piedi del letto, e con la più grande sfrontatezza che si possa immaginare gli sbottonò i calzoni, gli tolse la camicia ed estrasse il suo arnese, che era così ritratto e rimpicciolito che quasi non lo riconoscevo, abbassato, con la testa appena sollevata. Ma l’esperta matrona, stuzzicandolo con le mani, lo riportò in poco tempo alla misura ed erezione in cui lo avevo visto prima.

Ammirai dunque, con rinnovato profitto e da una migliore prospettiva, le fattezze di quella parte fondamentale dell’uomo – la testa rossa infuocata quando scappellata, il candore del fusto e il cespuglio di ricci che ricopriva la base, la sacca tondeggiante che penzolava al di sotto: tutto stuzzicava la mia curiosità e ravvivava il mio fuoco. Ma ora che lo strumento principale aveva raggiunto il punto al quale l’industriosa dama lo aveva stimolato, ella non aveva intenzione di rinunciare alla giusta ricompensa per le sue fatiche, così si distese e lo tirò delicatamente su di sé per concludere allo stesso modo di prima, il solito vecchio atto.

Una volta finito, uscirono insieme amorevolmente, dopo che la vecchia signora lo ebbe ricompensato con un presente, per quanto riuscii a vedere, di tre o quattro monete: infatti, egli non era solo il suo favorito per quelle prestazioni, ma era un dipendente della casa, dalla cui vista mi aveva nascosta con cura, temendo che egli non avrebbe resistito fino all’arrivo del lord e avrebbe insistito per essere il primo ad assaggiarmi, e la vecchia signora, che gli era fin troppo assoggettata, non avrebbe saputo dirgli di no. Ogni ragazza della casa passava sotto di lui, e di tanto in tanto toccava anche all’anziana signora, in riconoscenza del generoso trattamento che riceveva.

Non appena li udii scendere di sotto, sgattaiolai nella mia stanza, e per fortuna nessuno aveva notato la mia assenza. Lì cominciai a respirare liberamente e a dare sfogo alle roventi emozioni che la vista di quell’incontro mi aveva scaturito, mi stesi sul letto e mi stiracchiai, cercando e desiderando con ardore qualsiasi mezzo per distrarre o placare il rinnovato fervore e il turbinio di desideri che ora erano rivolti con forza verso il loro polo: l’uomo. Mi giravo nel letto, alla ricerca di qualcosa che era solo nei miei sogni a occhi aperti, e non trovandolo avrei quasi potuto piangere dalla disperazione: ogni parte di me andava a fuoco. Alla fine ricorsi all’unico rimedio conosciuto, cioè le dita: ma le scarse dimensioni di quel luogo non mi permettevano di entrare abbastanza in profondità, e il dolore che le dita mi provocavano nel tentativo di farsi strada, nonostante un leggero e momentaneo appagamento, mi fece insorgere una preoccupazione non mi avrebbe abbandonata fino a quando non ne avessi parlato con Phoebe e non avessi ricevuto delle spiegazioni.

L’opportunità, però, non si presentò se non la mattina seguente, poiché Phoebe era venuta a letto solo dopo che mi ero addormentata. Appena sveglie, fu naturale che le nostre chiacchiere da letto si concentrassero sul mio disagio, partendo dalla premessa della scena di amore a cui avevo per caso assistito.

Phoebe non poté restare ad ascoltarmi senza interrompermi di tanto in tanto con scoppi di risa, e il mio modo ingenuo di raccontare i fatti non faceva che accrescere il suo divertimento.

Nel sondare ciò che lo spettacolo aveva suscitato in me, non nascosi né usai mezzi termini per descrivere le piacevoli emozioni che mi aveva ispirato, esponendole allo stesso tempo quello che mi aveva lasciato perplessa. «Ah!», disse, «e cosa sarebbe?». Risposi che, avendo osservato con attenzione e minuzia le dimensioni di quella enorme macchina, che sembrava essere grossa quanto il mio polso e lunga almeno tre volte la mia mano, e confrontandole con la piccola e tenera parte di me creata per accoglierla, non mi capacitavo di come fosse possibile farla entrare senza morirne, o almeno senza atroci dolori, poiché, come ella ben sapeva, perfino un dito infilato in quel posto mi faceva molto male. In confronto a quella della padrona e alla sua, la mia aveva dimensioni di certo diverse, percepibili al tatto e alla vista. Insomma, per quanto grande fosse il piacere che prometteva, ero terrorizzata dal dolore di tale esperimento.

A quel punto Phoebe scoppiò a ridere ancor più forte, e mentre io mi aspettavo una soluzione molto seria ai miei dubbi e preoccupazioni, mi disse solo di non aver mai sentito di ferite mortali in quelle parti provocate da quella terribile arma, e che conosceva qualche giovane fanciulla, delicata quanto me, che era sopravvissuta all’operazione; secondo lei, alla peggio ci avrei preso gusto, e sebbene fosse vero che c’era una notevole differenza di dimensioni in quei posti, che dipendeva dalla natura, dai figli, dalla frequenza con cui si accoglieva quella macchina spietata, raggiunta una certa età e abitudine del corpo, perfino il più esperto in quegli affari non avrebbe saputo distinguere una ragazza da una donna, ipotizzando condizioni naturali e l’assenza di artifici. Ma poiché il caso aveva voluto che assistessi alla scena, mi avrebbe procurato un’altra occasione che appagasse la mia vista con più delicatezza, e che avrebbe dissolto ogni mio timore per quella sproporzione immaginaria.

Allora mi chiese se conoscessi Polly Phillips. «Certo», risposi, «la bella ragazza che fu tanto gentile con me durante la mia malattia, e che, come tu stessa mi hai raccontato, è in casa da appena due mesi». «Esatto», confermò Phoebe. «Dunque, devi sapere che è affittata da un giovane mercante di Genova, il cui zio, che è immensamente ricco, con il pretesto di sistemare degli affari, soddisfa il suo desiderio di viaggiare e di scoprire il mondo. Una volta incontrò Polly per caso e le piacque subito, al punto che ora la tiene tutta per sé. Viene a farle visita due o tre volte a settimana, e Polly lo riceve nella stanzina al piano di sopra, dove l’uomo la intrattiene in un modo che, suppongo, è tipico del calore o forse dei capricci del suo paese, ma non aggiungo altro, se non che domani è il suo giorno e potrai vedere ciò che accade tra loro da un posto che solo la padrona e io conosciamo».

Le posso assicurare che, con l’inclinazione che stavo prendendo, non sollevai obiezione alcuna alla proposta, anzi, ero piuttosto sulle spine al pensiero.

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