Set 212015
 

Ben presto mi ripresi molto bene, e a certe ore mi veniva anche concesso di girare per casa, ma tenendomi alla larga da altre compagnie finché non fosse arrivato Lord B** da Bath, al quale la signora Brown, conoscendo per esperienza la sua generosità in tali occasioni, propose di poter usufruire di quel mio gioiellino a cui tanto valore immaginario viene attribuito. Poiché sua signoria era attesa in città tra meno di due settimane, la signora Brown ritenne che per allora avrei riacquistato del tutto la bellezza e la freschezza, così da permetterle di concludere un affare ben più vantaggioso di quello con il signor Crofts.

Nel frattempo ero stata così addomesticata, come dicevano loro, così incantata dai loro flauti, che anche se la mia gabbia fosse stata aperta non mi sarebbe venuto in mente di volare via, ma sarei rimasta lì dove mi trovavo. Tantomeno provavo rimorso, ma aspettavo con grande tranquillità qualsiasi ordine della signora Brown, la quale, da parte sua, con la complicità delle sue adepte, prendeva più precauzioni del necessario per cullare e assopire in me qualsiasi riflessione sul mio destino.

Abbandonati i precetti di moralità, mi venne dipinto il quadro di una vita di gioie nei colori più vivaci, con carezze, promesse e trattamenti di favore: nulla, in breve, fu risparmiato per addomesticarmi e impedire che potessi andare altrove per trovare consigli migliori. Ahimè, un’idea del genere non mi sfiorava la mente.

Fino ad allora ero in debito solo con le ragazze della casa per la corruzione della mia innocenza: i loro discorsi lascivi, in cui il comune pudore non veniva rispettato, i loro racconti dettagliati sugli incontri con gli uomini, mi avevano dato fatto scoprire la natura e i misteri della loro professione, e allo stesso tempo mi avevano provocato un intenso senso di ardore in tutto il corpo. E soprattutto la mia compagna di letto, Phoebe, della quale divenni subito la pupilla, sfruttò il proprio talento per darmi i primi assaggi di piacere, mentre la natura, ora calda e bramosa di scoperte interessanti, stuzzicava una curiosità che Phoebe soddisfaceva con sapienza, conducendomi di domanda in domanda con le sue allusioni e spiegandomi tutti i misteri di Venere. Ma non avrei potuto restare a lungo in quella casa senza assistere di persona a quello che fino ad allora avevo potuto immaginare dai loro racconti.

Una mattina, verso mezzogiorno, essendomi ripresa dalla febbre, mi trovai nell’anticamera della signora Brown. Ero lì da poco più di mezzora, a riposarmi sul letto della cameriera, quando udii un fruscio dalla camera da letto che era separata dall’anticamera solo da due porte a vetri occultate da due tende di damasco giallo, ma non chiuse abbastanza bene da impedire la perfetta visuale della camera a chi si trovasse al di là.

Subito mi appostai in modo da poter vedere ogni dettaglio senza essere vista a mia volta. E chi altro avrebbe dovuto fare il suo ingresso se non la venerabile madre badessa! Teneva per mano un giovane e alto granatiere bruno plasmato con il corpo di Ercole: la scelta della più esperta dama di tutta Londra in quegli affari.

Oh! Come stavo ferma e zitta nel mio nascondiglio, attenta affinché nessun rumore mi potesse impedire di soddisfare la mia curiosità o attirasse la signora nell’anticamera.

Ma non avevo motivo di preoccuparmi, perché era tanto presa dal suo attuale impegno che non si sarebbe lasciata distrarre da nient’altro.

Fu buffo assistere alla scena di quella goffa e grassa figura che si lasciò cadere ai piedi del letto, proprio di fronte alla porta dell’anticamera, in modo che io avessi una visione frontale di tutte le sue grazie.

Il suo amante si sedette accanto a lei: sembrava un uomo di poche parole e grande stomaco, poiché andò subito al sodo dandole dei baci appassionati e gettandole le mani sui seni che liberò dai loro sostegni, cosicché ciondolarono giù fino all’ombelico. Non ne avevo mai visti di così grossi, né di un colorito così brutto, cascanti e flaccidi. Tuttavia, quel divoratore sembrava palparli con disgustosa avidità cercando invano di contenerne o coprirne almeno uno con una mano che era poco più piccola di una spalla di montone. Dopo averci giocato in quel modo per un po’, come se ne fosse valsa la pena, la fece distendere piuttosto bruscamente, e sollevandole la sottoveste le coprì il faccione arrossato, che si coloriva solo con il brandy.

Mentre egli se ne stava in disparte impegnato a sbottonarsi il panciotto e i calzoni, le grosse e tozze cosce della signora pendevano giù dal letto bene aperte, lasciandomi intravedere quell’orribile panorama: un’ampia fessura ricoperta da un cespuglio brizzolato che sembrava sporgere come la borsa di un mendicante che chiede la carità.

Ma i miei occhi furono ben presto attirati da un oggetto ancor più sorprendente che li fece spalancare.

Il vigoroso stallone si era sbottonato e ora esibiva nuda, dura ed eretta quella meravigliosa macchina che non avevo mai visto prima di allora, e che, per l’interesse della mia stessa sede del piacere, osservai con tutta l’attenzione possibile. Tuttavia i miei sensi erano troppo in tumulto, troppo concentrati sulla mia parte infuocata per osservare altro che le fattezze di quello strumento in generale, del quale l’istinto naturale, più di ogni racconto riferito, ora mi informava che, dall’incontro di quelle due parti così sorprendentemente perfette l’una per l’altra, mi sarei dovuta aspettare un piacere supremo.

Tuttavia il giovane damerino non rimase a lungo fermo perché, dopo aver dato qualche scrollatina, lo afferrò e si gettò su di lei. Ora mi dava le spalle, quindi potevo solo immaginare, dalla direzione dei suoi movimenti e dall’impossibilità di mancare un bersaglio così grande, che fosse penetrato. Il letto iniziò a traballare, le tende frusciavano così forte che riuscivo a malapena a udire i loro sospiri e gemiti, gli ansiti e l’affanno che accompagnarono l’atto dall’inizio alla fine. Quei rumori e quella vista mi avevano fatto fremere nel profondo dell’anima, e sentivo il fuoco pervadere ogni parte del mio corpo: l’emozione fu così violenta che quasi rimasi senza fiato.

Con la preparazione che avevo ricevuto, i discorsi delle mie compagne e i racconti dettagliati di Phoebe, non c’è da meravigliarsi se tale vista diede il colpo di grazia alla mia innocenza.

Mentre i due erano ancora nel pieno dell’atto, spinta solo da un istinto naturale, infilai una mano sotto la mia biancheria e con le dita frementi raggiunsi a infiammare ancora di più il centro di tutti i miei sensi: il cuore mi batteva così forte che sembrava quasi uscire dal petto, respiravo in affanno. Accavallai le cosce spremendo e palpando le labbra della vergine fessura, seguendo in modo meccanico l’esempio delle operazioni manuali di Phoebe su di essa, spingendomi fino a dove riuscii, fino a raggiungere il momento critico dell’estasi, quel flusso liberatorio con cui la natura, esaurito ogni eccesso di piacere, si dissolve e muore.

Dopodiché i miei sensi ritrovarono la calma per osservare il resto dell’atto tra l’allegra coppia.

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