Gen 262015
 

Ero situata in maniera da non perdere il minimo particolare di questa scena; le finestre della camera dove lei si faceva prendere si trovavano di fronte alla porta della stanzetta dove ero rinchiusa. Eradice era in ginocchio sullo sgabello, le braccia incrociate sul poggiapiedi dell’inginocchiatoio e la testa poggiata sulle braccia: la sua camicia era accuratamente rialzata fino alla cintola e lasciava vedere l’ammirevole profilo delle reni e delle natiche. Questa visione lussuriosa attirava l’attenzione del reverendissimo Padre, che si era posto anche lui in ginocchio, le gambe della penitente fra le sue, i pantaloni calati, il suo terribile cordone in mano, borbottando qualche parola male articolata. Egli rimase per qualche istante in questo edificante atteggiamento, percorrendo quell’altare con uno sguardo infiammato, quasi fosse indeciso sul genere di sacrificio che si preparava a offrire. Due vie da imboccare gli si presentavano e le divorava con gli occhi, indeciso sulla scelta: una in particolare era un ghiotto boccone per un uomo come lui; ma aveva promesso il piacere, l’estasi alla sua penitente… come fare? Osò dirigere più di una volta la punta del suo strumento verso la porta favorita, alla quale bussò leggermente: ma infine la prudenza ebbe la meglio sul piacere. Gli devo questa giustizia: vidi bene il rubicondo priapo del reverendo imboccare la via regolare, dopo averne dischiuse delicatamente le labbra vermiglie col pollice e l’indice di ciascuna mano. Questo lavoro fu subito iniziato con tre scosse vigorose, che ne fecero entrare circa la metà: allora, di colpo, l’apparente tranquillità del Padre si mutò in una sorta di furore. Buon Dio, che aspetto! Immaginate un satiro, le labbra colanti di schiuma, che digrigna i denti e soffia come un toro che muggisce. Le sue narici, dilatate, fremevano; teneva le mani sollevate a qualche centimetro dalla schiena di Eradice, su cui evidentemente non osava appoggiarsi per possederla più comodamente: le sue dita, convulse, sembravano la zampa di un cappone arrostito; la testa era abbassata e gli occhi scintillanti erano fissi sul lavoro del suo cavicchio, di cui assecondava l’andare e venire, in modo che nel movimento di ritorno non uscisse fuori dal fodero e che, mentre lo infilava dentro, il ventre non si appoggiasse alle natiche della penitente, la quale altrimenti avrebbe potuto capire da dove proveniva quello che credeva un cordone. Che presenza di spirito! Vidi che circa un pollice del santo strumento rimaneva costantemente fuori, senza mai prendere parte alla festa. Vidi che a ogni movimento che il sedere del Padre faceva all’indietro, per cui il cordone usciva fuori dal suo alloggio fino alla punta, le labbra di quella parte di Eradice si aprivano, diventando di un incarnato così vivo da incantare lo sguardo. Vidi che quando il Padre con un movimento opposto spingeva in avanti, quelle stesse labbra, di cui non vedevo più che il tenero pelo nero che le ricopriva, serravano così strettamente la freccia che sembravano inghiottirla, tanto che sarebbe stato difficile indovinare a chi dei due appartenesse quel cavicchio per il quale sembravano ugualmente attaccati l’uno all’altra.

Che congegno! Che spettacolo, mio caro Conte, per una ragazza della mia età che non aveva alcuna conoscenza di questo genere di misteri! Quante idee differenti mi passarono per la testa senza che avessi il tempo di soffermarmi su nessuna! Ricordo soltanto che venti volte fui sul punto di andarmi a gettare ai piedi del famoso direttore, per scongiurarlo di trattarmi come la mia amica. Era uno slancio di devozione? O era piuttosto uno slancio dei sensi? Mi è ancora impossibile stabilirlo con certezza.

Ma torniamo ai nostri complici. I movimenti del Padre si andavano accelerando, e doveva fare attenzione a non perdere l’equilibrio. La sua posizione era tale che formava, dalla testa alle ginocchia, come una S, di cui la pancia andava e veniva orizzontalmente in direzione delle natiche di Eradice. Quella parte di lei, che serviva da canale al cavicchio instancabile, dirigeva tutta l’operazione e due enormi verruche che pendevano tra le cosce del reverendo sembravano esserne testimoni.

«Il vostro spirito è contento, mia piccola santa?», disse lui, lanciando una specie di sospiro. «Per me, io vedo i cieli aperti, la grazia mi trasporta, io…».

«Ah! Padre mio!», gridò Eradice. «Quale piacere mi rapisce! Sì, gioisco di una felicità celeste, sento che il mio spirito è completamente staccato dalla materia. Cacciate, Padre mio, cacciate tutte le cose impure che sono ancora dentro di me. Io vedo… gli… an…geli… spingete ancora… spingete… Ah!… Ah!… buon… San Francesco!… Non mi abbandonare! Sento il cor… il cor… il cordone… non ne posso più… muoio».

Il Padre, che sentiva ugualmente l’avvicinarsi del supremo piacere, balbettava, spingeva, soffiava, ansimava. Infine, le ultime parole di Eradice furono il segnale della ritirata; e vidi il fiero serpente, divenuto umile e strisciante, uscire fuori coperto di schiuma dalla sua custodia.

Ogni cosa venne rimessa a posto alla svelta e il Padre, dopo aver lasciato ricadere giù la sua veste, raggiunse a passi incerti l’inginocchiatoio che Eradice aveva lasciato. Là, fingendo di pregare, ordinò alla penitente di rimettersi in piedi, di coprirsi e quindi di venire a ringraziare insieme a lui il Signore per la grazia che aveva appena ricevuto.

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