Mar 092015
 

I precetti di questo nuovo direttore affascinarono la mia anima; vi scorgevo un’aria di verità, una dimostrazione provata, un principio di carità che mi facevano capire il ridicolo di ciò che avevo ascoltato fino a quel momento. Dopo aver passato la giornata a riflettere, la sera, prima di coricarmi, mi preparai ad accarezzare le parti incriminate. Sapendo ormai che potevo guardare e toccare senza timore, mi svestii; seduta sul bordo del letto, divaricai le cosce più che potevo e mi accinsi a esaminare attentamente questa parte che ci fa donne. Intravidi le labbra, e cercando con il dito l’apertura attraverso la quale il Padre Dirrag aveva potuto infilzare Eradice con un così grosso strumento, la scoprii, senza però potermi capacitare che fosse quella: la sua piccolezza mi faceva rimanere incerta. Tentai di introdurvi il dito, ma mi sovvenni dell’avvertimento di Monsieur T… e lo ritirai prontamente, risalendo lungo la fenditura. Una piccola sporgenza che incontrai mi causò un trasalimento. Mi arrestai: cominciai ad accarezzarla e ben presto giunsi al colmo del piacere. Quale felicità questa scoperta per una ragazza che aveva dentro di sé un’abbondante sorgente del liquore che ne è il principio!

Per sei mesi navigai in un torrente di voluttà, senza che mi accadesse nulla che meriti di essere raccontato.

La mia salute si era completamente ristabilita, e la coscienza era tranquilla per merito delle cure del mio nuovo direttore, che mi dava dei saggi consigli che andavano d’accordo con le passioni umane: lo vedevo regolarmente tutti i lunedì in confessionale, e tutti i giorni a casa di Madame C…, ormai non lasciavo più questa amabile donna: le tenebre del mio animo si dissiparono e di conseguenza mi abituai, a poco a poco, a pensare, a ragionare. Più del Padre Dirrag, per me, più di Eradice.

Oh, che grandi maestri sono l’esempio e i precetti per formare il cuore e lo spirito! Se è vero che essi non ci danno nulla e che ciascuno di noi ha già in sé i germi di tutto ciò di cui è capace, è altrettanto vero che servono a sviluppare questi germi, a farci distinguere le idee, i sentimenti di cui siamo suscettibili, i quali senza l’esempio, senza i precetti, resterebbero nel loro nucleo, nel loro involucro.

Mia madre, intanto, aveva continuato, più in grande, il suo commercio, che però andava male: aveva molti debiti ed era sul punto di subire una bancarotta da parte di un negoziante di Parigi, capace di rovinarla. Dopo essersi consigliata, prese la decisione di compiere un viaggio in quella grande città. Questa tenera madre mi amava troppo per perdermi di vista durante uno spazio di tempo che avrebbe potuto essere molto lungo; così, fu deciso che l’avrei accompagnata. Ahimè! La povera donna non presagiva di certo che avrebbe finito lì i suoi tristi giorni, proprio dove io avrei trovato la felicità fra le braccia del mio caro Conte!

Si decise che saremmo partite entro un mese, tempo che andai a trascorrere con Madame C… in una casa di campagna distante poco meno di una lega dalla città. Monsieur l’Abate vi veniva regolarmente tutti i giorni e vi si tratteneva anche a dormire, quando i suoi impegni glielo permettevano. L’uno e l’altra mi colmavano di carezze, e non si preoccupavano più di tenere davanti a me dei discorsi molto liberi. Parlavano di Morale, di Religione, di Metafisica, in una maniera che contrastava molto con i princìpi che io avevo ricevuto. Mi accorgevo che Madame C… era contenta del mio modo di pensare e di ragionare e che per lei era un piacere condurmi, un passo dopo l’altro, a delle dimostrazioni chiare e lampanti. Qualche volta, soltanto, avevo la tristezza di notare che l’Abate T… faceva segno di non condurre così lontano i ragionamenti su certe materie. Questa scoperta mi umiliò: decisi di tentare di tutto per essere istruita su ciò che mi si voleva nascondere: non avevo, in quel tempo, il minimo sospetto della reciproca tenerezza che li univa. Ben presto, però, come capirete fra poco, non ebbi più nulla da desiderare.

Vedrete, mio caro Conte, qual è la sorgente da cui ho attinto i princìpi della Morale e della Metafisica che voi conoscete così bene. Questi princìpi mi hanno fatto capire che cosa siamo in questo mondo e che cosa dobbiamo temere nell’altro, assicurandomi una vita tranquilla della quale voi siete tutto il piacere.

Eravamo, allora, nei più bei giorni dell’estate. Madame C… si alzava di solito verso le cinque del mattino per andare a passeggiare in un boschetto che confinava col nostro giardino. Avevo notato che l’Abate T…, quando rimaneva a dormire in campagna, vi si recava lui pure; che nel giro di un’ora o due essi rientravano insieme nell’appartamento dove dormiva Madame C… e che infine l’uno e l’altra non ricomparivano che verso le otto o le nove.

Decisi di precederli nel boschetto e di nascondermi in modo da poterli spiare: come non supponevo nulla dei loro amori, così non immaginavo cosa avrei perso se non li avessi spiati. Riuscii a riconoscere il posto, e mi assicurai un angolo adatto al mio progetto.

La sera, cenando, la conversazione cadde su quel che la Natura opera e produce. «Ma che cos’è dunque questa Natura?», disse Madame C…, «è forse un essere particolare? Non è tutto un prodotto di Dio? Cosa sarebbe? Una specie di divinità subalterna?»

«Quello che dite non è davvero ragionevole», replicò vivamente l’Abate T… facendole d’occhio. «Vi prometto di spiegarvi domattina, durante la nostra solita passeggiata, l’idea che bisogna avere di questa madre comune del genere umano: ora è troppo tardi per affrontare un simile argomento. Non vi accorgete che rischiamo di annoiare Mademoiselle Thérèse, che cade dal sonno? Se volete darmi retta, andate a dormire. Io vado a finire il mio uffizio, dopo di che seguirò subito il vostro esempio».

Ascoltammo il consiglio dell’Abate e ognuno si ritirò nella sua camera.

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