Nov 232019
 

Il tipo cominciava a seccare, tanto che Filerote salta su e dice: «E i vivi dove li mettiamo? Quel tale ha avuto ciò che si meritava: ha vissuto bene e bene è morto. Che ha da lagnarsi? È venuto su dal nulla ed era pronto a raccattare coi denti una moneta nel pieno della merda. E così è cresciuto come è cresciuto, che sembrava un favo. E santiddio mi sa che ha lasciato centomila sesterzi tranquilli, e tutti sull’unghia. Eppure, volete sapere come stanno davvero le cose? Ve lo dico io che non ho peli sulla lingua: era un cafone, una mala lingua, un rissoso di natura, mica un uomo. Suo fratello, lui sì che c’aveva le palle, un vero amico con gli amici, generoso e con la tavola sempre imbandita. All’inizio non gli andò per il verso giusto, poi si rimise in sesto con la prima vendemmia, perché riuscì a vendere il vino a quanto voleva lui. Ma quello che lo rimise del tutto in carreggiata fu un’eredità dalla quale sgraffignò più di quanto gli toccasse. Ma da deficiente qual era andò poi a litigare col fratello, lasciando tutta la sua fortuna a non so quale figlio di nessuno. Chi pianta in asso la sua gente finisce a rotoli. Aveva dei servi che considerava oracoli, e quelli lo aiutarono a finire sul lastrico. Chi fa in fretta a fidarsi del prossimo, finisce che non combina niente di buono, specie se è nel ramo degli affari. Ma una cosa è certa: finché visse, se la spassò alla grande… chi ha avuto, e non chi avrebbe dovuto avere. Era davvero nato con la camicia. In mano sua il piombo diventava oro (che poi è uno scherzo, se tutto gira alla perfezione). E quanti anni credete che avesse? Settanta e rotti. Ma era fatto di ferro, e se li portava bene gli anni, nero come un corvo. Io lo conoscevo dalla notte dei tempi, ma era ancora attivo sessualmente. E mi sa che in casa sua non risparmiasse nemmeno la cagna. E andava anche coi ragazzini, non si tirava mai indietro. Non gli do mica torto: in fondo questa è la sola cosa che si sia portato dietro con sé».

Dopo la tirata di Filerote, interviene Ganimede: «Questa è roba che non sta né in cielo né in terra, e nel mentre nessuno ci pensa ai morsi della carestia. Oggi, maledetta miseria, non sono riuscito a trovare un tozzo di pane. E la siccità non vuole mica finirla! E intanto è da un anno che c’è la fame. Gli venisse un colpo agli edili, che fanno le combines coi fornai: “Aiuta me che aiuto te” dicono, mentre la povera gente tira la cinghia e per quelle canaglie è sempre carnevale. Ah, se ci fossero ancora quei duri che ho trovato qui la prima volta che son venuto dall’Asia! Quello sì che era vivere. Se il grano della Sicilia non valeva un fico secco, a ‘sti pezzi di galera quelli là gliene davano un sacco e una sporta, che sembrava venisse giù il cielo. Me ne ricordo uno, Safinio: quand’ero ancora un ragazzino, lui stava dalle parti dell’Arco Vecchio. Era un demonio, non un uomo. Dove passava lui, faceva terra bruciata. Ma era onesto, leale, amico con gli amici, potevi giocarci alla morra anche al buio. E in Senato poi, come se li rigirava tutti, dal primo all’ultimo, e come parlava chiaro, senza fare tanti giri di parole. Nel foro, poi, quando aveva la parola lui, era come sentire una tromba. E mai una goccia di sudore o uno sputo: aveva un non so che di asiatico. E con che gentilezza ti salutava, ricordandosi il nome di tutti, come se fosse uno di noi! Così a quei tempi la roba costava una miseria. Comprando un soldo di pane, non si riusciva mica a finirlo in due. Adesso ti danno dei panini che un occhio di bue è più grosso! Poveri noi, ogni giorno che passa è sempre peggio. Questo paese cresce in senso contrario, come la coda di un vitello. Ma come volete che vada se abbiamo un edile che non vale un fico secco, e che darebbe la nostra vita in cambio di una lira? A casa sua se la spassa, e guadagna più lui in un giorno che il resto della gente in tutta la vita. Io lo so benissimo come ha fatto ad arraffare mille denari d’oro. Se solo noi avessimo le palle, quello lì non se la spasserebbe tanto. Il fatto è che a casa siamo tutti leoni, mentre fuori diventiamo pecore. Per quel che mi riguarda, ho già venduto gli stracci che avevo e, se continua la carestia, finisce che mi dò via anche la baracca. Come volete che vada a finire, se gli dèi e gli uomini continuano a fregarsene di questo paese? Mi scommetterei i figli che tutto questo ce lo mandano gli dèi. Nessuno più crede che il cielo sia il cielo, nessuno più rispetta il digiuno, tutti se ne infischiano del padreterno, e sanno solo sgranare gli occhi per contare la roba che hanno. Una volta le signore bene salivano scalze in Campidoglio, coi capelli sciolti e il cuore puro, e imploravano Giove che facesse piovere. Subito veniva giù a catinelle. Ora o mai, e tutti ridevano, fradici come sorci. Oggi invece gli dèi sono imbestialiti perché non c’è più religione. E intanto i campi se ne vanno in malora…».

«Ma per piacere» lo interrompe Echione, il rigattiere, «non hai niente di più allegro da raccontarci? “Un po’ su e un po’ giù”, disse il contadino, dopo aver perso il maiale pezzato. Quello che non è oggi, sarà domani. Così va la vita. Se solo ci fossero degli uomini con gli attributi, santiddìo, questo sì che sarebbe il migliore dei paesi! Ma adesso è piena crisi, e mica solo qui da noi. Non dobbiamo fare tanto i difficili: tutto il mondo è paese. Se tu abitassi da un’altra parte, diresti che qui dalle nostre parti i maiali vanno in giro per le strade già belli e cotti. E poi abbiamo la prospettiva di goderci tre giorni di magnifico spettacolo: al posto dei gladiatori di professione un bel grappolo di liberti. Il nostro Tito ha un cuore grosso così ed è pieno di iniziative. Comunque, o questo o quello, alla fin fine qualcosa succederà. Non è tipo da fare le cose a metà, credete a me che con lui sono culo e camicia. Farà gareggiare i più grossi campioni in duelli all’ultimo sangue, col gran massacro finale al centro, che possano vedere tutti gli spettatori. I mezzi per farlo ce li ha. Quando suo padre buonanima è morto, lui si è beccato trenta milioni di sesterzi. Se anche ne spende quattrocentomila, il suo gruzzolo certo non ne risente, e lui verrà ricordato in eterno. Ha già per le mani qualche bel pezzo di galera, più una tizia che combatte sul carro e il tesoriere di Glicone, quello che l’hanno beccato mentre se la faceva con la padrona. E in mezzo al pubblico vedrai che risse tra i mariti gelosi e i seduttori di professione. E quel pezzente di Glicone, che ha fatto buttare il tesoriere tra le belve? Questo sì che è svergognarsi agli occhi di tutti! Che colpa aveva il servo, se era la padrona che lo costringeva a farlo? Lei piuttosto, quella troiona, meriterebbe che se la sbattesse un toro. Ma è proprio vero che chi non può bastonare l’asino, se la prende col basto. E poi Glicone che cosa si credeva, che dalla gramigna di Ermogene venisse fuori qualcosa di buono? Avrebbe anche potuto tagliare le unghie a un nibbio in volo, tanto da un serpente non nasce mica una corda. E Glicone, Glicone ha avuto quello che si meritava: le corna se le porta dietro finché campa, e non gliele toglie nemmeno il diavolo in persona. Chi rompe paga, e i cocci son tutti suoi. Io sento già il profumo del banchetto che ci offrirà Mammea, e le due monete d’oro che ci scapperanno per me e per i miei. Se lo farà davvero, porterà via a Norbano tutto il favore della gente. Puoi scommetterci che per lui sarà un trionfo. Ma, a conti fatti, da quello lì che cosa ci abbiamo ricavato? Ha fatto gareggiare dei gladiatori da due lire, con un piede nella bara, che li sbattevi a terra con un soffio. In passato ho visto dei condannati che di fronte alle bestie erano molto meglio di loro. Ha fatto ammazzare dei cavalieri da lampade, che sembravano dei galli da pollaio. Uno era da caricarlo sul mulo, l’altro aveva i piedi piatti e il terzo, che doveva sostituire un morto, era già morto pure lui con i tendini tagliati. L’unico con un po’ di fiato da spendere era un Trace, ma pure lui combatteva come se fosse in palestra. Alla fine li dovettero frustare, tanto la folla gridava “Dàgli, dàgli!”: dei veri campioni dell’arte della fuga. “Io comunque uno spettacolo te l’ho offerto”, dice lui. E io ti rispondo: “Ti ho battuto le mani. Tu fatti i tuoi bravi conti, e vedrai che ti ho dato più di quello che ho ricevuto. Una mano lava l’altra”».

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