Ago 162019
 

Petronius ArbiterL’opera è incentrata sulle vicissitudini di Encolpio, il giovane protagonista, di Gìtone, il suo amato efebo, e dell’infido amico-nemico Ascilto.

L’antefatto, soltanto deducibile a causa della lacunosità del testo, racconta di un oltraggio commesso da Encolpio nei confronti della divinità fallica Priapo che, da lì in poi, lo perseguiterà provocandogli una serie di tragicomici insuccessi erotici.

La narrazione tràdita si apre in una Graeca urbs della Campania, forse Pozzuoli, Napoli o Cuma, nei pressi di una scuola, dove Encolpio e l’anziano retore Agamennone dibattono fervidamente sull’inesorabile declino dell’arte dell’eloquenza. Ad un certo punto, il protagonista si rende conto che il suo compagno di viaggio Ascilto si è defilato e, approfittando dell’arrivo degli studenti, s’allontana con l’intento di andarlo a cercare. Girovagando per la labirintica città magnogreca, il giovane finisce per perdersi e, chiedendo ingenuamente indicazioni ad un’anziana sconosciuta, viene da questa trascinato in un lupanare, dove però s’imbatte proprio in Ascilto. Qui i due, nel tentativo di fuggire, sono forse coinvolti in un’orgia. Riusciti a venirne fuori, i due giovani ritornano a casa, dove trovano ad attenderli Gitone, l’efebico servo ed amante di Encolpio. In seguito, i due compari si trovano a dover fare i conti col sacrilegio da loro commesso nel tempio di Priapo diverso tempo prima della narrazione pervenutaci: la sacerdotessa della divinità, Quartilla, essendo stata di fatto bruscamente interrotta dai giovani durante il suo consueto rito sacerdotale, costringe Encolpio ed Ascilto ad un’orgia come forma d’espiazione della colpa da loro commessa. In questa è coinvolto anche Gitone, che viene poi spinto a giacere con la settenne Pannichide. Una volta soddisfatta la richiesta della sacerdotessa, ritornano tutti a casa.

Il racconto si sposta dunque a casa di Trimalcione, un rozzo ed eccentrico liberto arricchitosi immensamente con l’attività commerciale, dove i tre giovani si trovano invitati ad uno dei suoi sfarzosi e luculliani banchetti. Qui s’apre la scena della famigerata Cena Trimalchionis che, occupando quasi la metà dell’intero scritto pervenutoci, costituisce la parte centrale dell’opera. Al convivio sono ospiti, oltre ai tre giovani, anche il retore Agamennone (che, pur prendendo spesso parte ai banchetti organizzati da Trimalcione, nutre segretamente disprezzo nei suoi riguardi) ed altri vari personaggi dello stesso ceto sociale del padrone di casa. La portata del cibo è spettacolare ed altamente coreografica, accompagnata dai giochi acrobatici della servitù e dai racconti tra i commensali. I convitati intrattengono poi una lunga conversazione, che tocca i più svariati argomenti: la ricchezza e gli affari di Trimalcione, l’inopportunità dei bagni, la funzione sociale dei riti funebri, le condizioni climatiche e l’agricoltura, la religione e i giovani, i giochi pubblici, i disturbi intestinali, il valore del vetro, il fato, i monumenti funebri, i diritti umani degli schiavi. Il tutto offre uno spaccato vivace e colorato, non senza punte di chiara volgarità, della vita di quel particolare ceto sociale. Con l’arrivo di Abinna (accompagnato dalla moglie, Scintilla, grande amica della moglie di Trimalcione, Fortunata), costruttore impegnato nella realizzazione del maestoso monumento funebre di Trimalcione, quest’ultimo decide d’inscenare il proprio funerale, costringendo tutti gli astanti ad agire e comportarsi come se fossero stati invitati al suo banchetto funebre; I giovani, disgustati dal grottesco spettacolo, approfittano della confusione per fuggire.

Tornati a casa verso sera, Encolpio cade preda di un profondo sonno, a causa del troppo vino bevuto, e Ascilto, approfittando di ciò, concupisce con Gitone. Sorpresili a letto nudi, il mattino seguente, Encolpio rompe l’amicizia che lo vincolava ad Ascilto, proponendogli dunque di dividersi i loro beni comuni e d’intraprendere ognuno la propria strada; ma, al momento di dividersi, Gitone sceglie di stare con Ascilto, lasciando Encolpio solo e disperato. Vagando senza meta per le strade della città, meditando addirittura di vendicarsi a fil di gladio dei suoi compagni traditori, il giovane si ritrova in una pinacoteca, dove fa la conoscenza di Eumolpo, un vecchio e squattrinato letterato, al quale il giovane finirà per confessare tutte le proprie disavventure. Notato poi l’interesse di Encolpio per un quadro raffigurante la presa di Troia, l’attempato poeta gliene declama il resoconto in versi (è la celebre Troiae halosis), che però non incontra i favori dei visitatori presenti che, infuriati, costringono dunque i due ad una repentina fuga. Divenuti ormai amici, Encolpio invita il suo nuovo compagno d’avventure a cena ma, sulla via del ritorno, s’imbattono in Gitone che, scappato dalle grinfie di Ascilto, implora il suo ex-padrone ed amante di riprenderlo con sé; Encolpio accetta e, con l’aiuto di Eumolpo, riesce a sottrarlo ad Ascilto con l’inganno.

Nei frammenti successivi, Encolpio, Gitone ed Eumolpo s’imbarcano su una nave che, come scoprirà con sgomento il protagonista, si trova sotto il comando del temibile Lica di Taranto, una vecchia conoscenza del giovane; sulla nave è presente anche Trifena, una ricca e nobile donna da cui Gitone sembra nascondersi. I due giovani, vestendosi con dei cenci e rasandosi il capo a zero, cercano di farsi spacciare come i servi di Eumolpo, ma alla fine vengono scoperti. Encolpio e Gitone si ritrovano così a rischiare la vita, ed è solo con l’intervento di Eumolpo, riuscito a sedare gli animi con una lunga arringa difensiva in loro favore, che i giovani hanno salva la vita. Ne segue un banchetto, in cui Eumolpo diletta i convitati con alcuni racconti. La nave poi affonda a causa di una violentissima tempesta, ma i tre riescono comunque a trarsi in salvo. Naufragati sulle coste della Calabria, Eumolpo suggerisce di recarsi a Crotone dove, stando ai suoi piani, si faranno mantenere dai cacciatori d’eredità. Durante il tragitto, Eumolpo recita ai ragazzi un poema epico, concernente il Bellum civile (“La guerra civile”) fra Gaio Giulio Cesare e Gneo Pompeo Magno.

Da come si apprende dai successivi frammenti, i tre, da un po’ di tempo stabilitisi nella città calabra, con Eumolpo che recita la parte di un vecchio e danaroso senza figli e con Encolpio e Gitone quali suoi servi, vivono ormai nel lusso, grazie ai numerosi cacciatori d’eredità che, tra un dono e l’altro, cercano di entrare nelle grazie del vecchio poeta. Si legge poi di Encolpio che, per l’ira del dio Priapo, è ormai diventato impotente e, a causa di ciò, è divenuto bersaglio delle vendette di una sua ricca amante, Circe, che, credendosi da lui disprezzata, comincerà a perseguitarlo. Per cercare di porre rimedio alla sua debilitante condizione fisica, il giovane, dopo innumerevoli tentativi (tra cui quello di non unirsi più con l’amato Gitone), decide di rivolgersi a delle anziane e navigate maghe, Proseleno ed Enotea, che, con la scusa di praticare un rituale curativo, preparano il giovane a subire un rapporto anale, a cui Encolpio riesce a stento a scampare. Eumolpo, nel frattempo, sempre più pressato dai vari pretendenti, fa spargere la voce che sia morto, facendo poi redigere un testamento dove specifica che gli eredi avranno diritto alle sue sconfinate ricchezze solo se faranno a pezzi il suo corpo e se ne ciberanno in presenza del popolo. La narrazione termina dunque con i frammentari dialoghi tra i protagonisti inerenti famigerati casi di cannibalismo verificatisi nel corso della storia.

 Leave a Reply

You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>

(required)

(required)

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.