Gen 192019
 

Léon assunse ben presto nei confronti dei propri colleghi un’aria di superiorità; evitò la loro compagnia e non si curò più dei suoi scartafacci.

Aspettava le lettere di Emma, le rileggeva; poi le rispondeva. L’evocava con tutta la forza del suo desiderio e dei ricordi. Invece di diminuire con la lontananza, questa smania di rivederla si accrebbe, tanto che, un sabato mattina, egli lasciò all’improvviso lo studio.

Quando, dall’alto della collina, scorse nella vallata il campanile della chiesa con la bandierina di latta verniciata che girava nel vento, provò la stessa soddisfazione commista di trionfante vanità e di egoistico intenerimento che devono avvertire i milionari quando tornano a visitare il proprio villaggio.

Andò a gironzolare intorno alla casa di Emma. Una luce brillava in cucina. Léon spiò da dietro le tende per scorgere l’ombra di lei, ma non comparve nessuno.

La signora Lefrançois, non appena lo vide, lanciò alte esclamazioni, trovandolo più alto e più magro, mentre Artémise lo trovò irrobustito e abbronzato.

Pranzò nella saletta, come sempre, ma questa volta solo, senza l’esattore, perché Binet, stanco di dover aspettare la Rondine, aveva definitivamente anticipato di un’ora la cena; adesso mangiava alle cinque esatte, e ancora, spesso, si lamentava perché ‘quel ferrovecchio della pendola’ ritardava.

Léon, intanto, si era deciso e andò a bussare alla porta del medico. Emma era nella sua camera, ne discese solo un quarto d’ora dopo. Bovary sembrò felice di vederlo, ma non si mosse di casa per tutta la sera e per tutto il giorno seguente.

Léon poté rivedere Emma da sola, soltanto la sera, molto tardi, nel vicolo — nel vicolo, come con l’altro! Infuriava un temporale ed essi si parlarono stando sotto un ombrello, alla luce dei lampi.

La loro separazione diveniva intollerabile.

«Piuttosto morire!» diceva Emma.

E si piegava sul suo braccio, tutta in lacrime.

«Addio!… Addio!… Quando ti rivedrò?»

Tornarono sui loro passi per riabbracciarsi ancora una volta, e in quel momento Emma gli promise di trovare presto, non importava in che modo, il sistema per vedersi liberamente e senza fallo almeno una volta alla settimana. Ne era sicura. Si sentiva piena di speranze. E aspettava del denaro.

Con questa prospettiva, comperò tendine gialle a grosse righe per la sua camera, Lheureux gliene aveva vantato la convenienza; desiderava anche un tappeto, e il mercante, affermando che ‘non era poi chiedere la luna’, si incaricò gentilmente di procurargliene uno. Emma non riusciva più a fare a meno dei suoi servigi. Venti volte nella giornata lo mandava a chiamare, e subito lui lasciava a metà gli affari, senza dire una parola. Il signor Lheureux non riusciva a capacitarsi del perché mamma Rollet si fermasse tutti i giorni a pranzo in casa Bovary, e venisse ricevuta in privato con tanta assiduità dalla signora.

In questo periodo, e cioè al principio dell’inverno, Emma fu presa da un grande quanto insolito ardore musicale.

Una sera, mentre Charles l’ascoltava, ricominciò daccapo quattro volte lo stesso brano e si stizziva ogni volta di più, e intanto il marito, il quale non si rendeva conto della differenza, le diceva:

«Brava!… molto bene!… Perché ti interrompi? Continua!»

«Oh, no! È orribile! Ho le dita arrugginite.»

L’indomani egli la pregò di suonargli ancora qualcosa:

«Se ti fa piacere!»

E anche Charles dovette ammettere che era un po’ fuori esercizio. Emma confondeva le battute, incespicava; poi, interrompendosi del tutto, disse:

«Ah! Non c’è niente da fare! Bisognerebbe che prendessi delle lezioni, ma…»

Si morse le labbra e continuò:

«Venti franchi all’ora, è troppo caro!»

«Sì, infatti, è un po’ caro…» disse Charles con un risolino sciocco «Però, forse si potrebbe trovare qualcuno, credo, che chieda meno; vi sono artisti senza una gran fama i quali spesso valgono più delle celebrità.»

«Potresti trovarne uno» disse Emma.

Il giorno dopo, rientrando, egli la guardò con l’aria di chi la sa lunga, e alla fine non seppe trattenere questa frase:

«Cosa vai a metterti in testa, certe volte! Sono stato a Barfeuchères, oggi. Ebbene, la signora Liégeard mi ha assicurato che le sue tre ragazze, che sono alla Misericordia, prendono lezioni per cinquanta soldi all’ora, e da un’eccellente insegnante».

Emma alzò le spalle e non riaprì più il pianoforte.

Ma tutte le volte che passava vicino allo strumento (se Bovary era nella stanza) diceva sospirando:

«Ah! il mio povero piano!»

E, se venivano visite, non mancava mai di far sapere di essere stata costretta ad abbandonare la musica e di non potervisi dedicare di nuovo, adesso, per ragioni di forza maggiore. Tutti la compiangevano. Che peccato! Lei che aveva un così grande talento! Ne parlarono perfino a Bovary. Attribuivano la colpa a lui, specialmente il farmacista:

«Lei sbaglia! Bisogna sempre coltivare i doni della natura. D’altronde, se ci pensa amico mio, permettendo alla signora di studiare, le sarà possibile economizzare più tardi sull’educazione musicale di sua figlia. Io sono del parere che le madri dovrebbero istruire loro stesse i propri figli. È un’idea di Rousseau, forse un po’ troppo d’avanguardia; ma finirà certo per affermarsi, non ci sono dubbi, come l’allattamento materno e le vaccinazioni».

Charles tornò allora di nuovo sulla questione del pianoforte. Emma rispose acida che sarebbe stato meglio venderlo. Quel povero piano! Aveva dato tante soddisfazioni all’amor proprio di Bovary che adesso, vedendolo andar via, egli aveva l’impressione di doversi separare da una parte della stessa Emma.

«Se tu volessi…» diceva «una lezione ogni tanto non ci manderà in rovina, dopotutto.»

«Ma le lezioni,» ribatté lei «per essere efficaci, devono essere frequenti.»

E così Emma poté ottenere dal marito il permesso di andare in città una volta alla settimana per vedere l’amante. In capo a un mese, la gente diceva che aveva fatto progressi notevoli

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