Ott 112021
 

Eravi una volta un mercante il quale possedeva grandi ricchezze. Un giorno, che un affare importante lo chiamava molto lungi dal luogo ove soggiornava, salì a cavallo e partì con una valigia in cui vi aveva riposta una piccola provvisione di biscotto e di datteri.

Il quarto giorno del suo viaggio sviò dal cammino per andarsi a rinfrescare sotto alcuni alberi. Vicino a un gran noce egli trovò una fontana di acqua limpidissima. Pose il piede a terra, attaccò il suo cavallo ad un albero, e si assise vicino alla fonte, dopo aver cavati dalla sua valigia alcuni datteri e alquanti biscotti. Mangiando i datteri egli ne gittava i noccioli a dritta e a sinistra. Quando ebbe terminato quel pasto frugale da buon musulmano si lavò le mani, il viso e i piedi, e fece la preghiera.

Egli non l’aveva per anco finita, quando vide apparire un Genio tutto bianco per vecchiaia, di una grandezza enorme, che avanzandosi fino a lui con la sciabola in mano, gli disse:

—   Alzati perch’io ti uccida, come tu hai ucciso mio figlio.

—   Oh, buon Dio! — disse il mercante — come mai ho potuto uccidere vostro figlio? Io non lo conosco neppure.

—   Non ti sei seduto arrivando qui? — replicò il Genio — Non hai tolti dei datteri dalla tua valigia, e mangiandoli non hai gittati i noccioli a dritta ed a sinistra?

— Ho fatto ciò che dite — rispose il mercante

—  non posso negarlo.

—   Essendo così — riprese il Genio — io ti dico che hai ucciso mio figlio, ed ecco come. Nel tempo in cui gittavi i tuoi noccioli, mio figlio passava: egli ne ha ricevuto uno nell’occhio e ne è morto.

—   Ah! signore, perdono! — gridò il mercante — io vi accerto non avere ucciso vostro figlio: e quando ciò fosse stato, l’ho fatto innocentemente; per conseguenza vi supplico di perdonarmi e lasciarmi la vita.

—   No, no — disse il Genio, persistendo nella sua risoluzione — bisogna ch’io ti uccida come hai ucciso mio figlio!

A queste parole prese il mercante per un braccio, lo gittò in terra, e alzò la sciabola per tagliargli la testa.

Intanto il mercante lacrimando e protestando la sua innocenza, compiangeva la sposa ed i figliuoli e diceva le cose più commoventi del mondo. Il Genio, sempre con la sciabola levata, ebbe la pazienza di aspettare che l’infelice terminasse i suoi lamenti.

—     Tutte queste parole sono superflue: — gridò: quando pure le tue lagrime fossero di sangue, ciò non m’impedirebbe di ucciderti.

—    Che! — replicò il mercante — volete assolutamente togliere la vita ad un povero innocente?

—   Sì — rispose il Genio.

Quando il mercante vide che il Genio stava per troncargli la testa, gittò un grido, e gli disse:

—   Abbiate la bontà di accordarmi una dilazione: datemi il tempo di andare a dire addio alla mia sposa ed ai miei figli. Ciò fatto tornerò tosto in questo luogo stesso per sottomettermi a tutto quello che vorrete fare di me.

—   Di guanto tempo vuoi tu che sia questo termine?

—  replicò il Genio.

—    Vi domando un anno, non occorrendomi minor tempo per assestare i miei affari.

Il Genio lo lasciò presso la fontana e disparve.

Il mercante risalì a cavallo, e riprese il suo viaggio: ma se da un canto egli era lieto di aver evitato sì gran pericolo, nell’altro era in una mortale tristezza pensando al fatale giuramento che aveva fatto.

Quando arrivò a casa si pose a piangere sì amaramente, che i suoi giudicarono gli fosse accaduto qualche cosa di straordinario. Sua moglie gli domandò la cagione delle sue lagrime.

— Ah! — rispose il marito — perché non son io in altra situazione? Io non ho più che un anno a vivere.

Allora raccontò loro ciò che era avvenuto tra lui e il

Genio.

Quando intesero questa triste novella, cominciarono tutti a desolarsi. L’indomani il mercante pensò di mettere in ordine i suoi affari, affrettandosi sopra ogni altra cosa a pagare i suoi debiti. Fe’ complimenti ai suoi amici, e grandi elemosine ai poveri: donò la libertà a’ suoi schiavi; divise i beni fra’ suoi figli; nominò i tutori per i minorenni, e rendendo a sua moglie quello che le apparteneva, in forza del contratto di matrimonio, la vantaggiò di quanto poté donarle secondo le disposizioni della legge.

Finalmente l’anno trascorse e bisognò partire.

Egli fece la sua valigia, e vi mise il drappo nel quale dovea esser seppellito.

—   Miei figli — disse — separandomi da voi io obbedisco agli ordini di Dio; imitatemi; sottomettetevi coraggiosamente a questa necessità, e pensate che il destino dell’uomo è di morire!

Dopo aver dette queste parole, sottrattosi alle grida ed ai lamenti della sua famiglia partì, e arrivò al medesimo luogo ove avea promesso ritornare. Messo subito piede a terra, si assise al margine della fontana, ed aspettò il Genio.

Mentr’ei languiva in sì crudele aspettazione, apparve un buon vecchio, che conduceva legata una cerva, e si avvicinò a lui. Si salutarono a vicenda, e il vecchio disse al mercante:

—   Fratello, può sapersi da voi perché siete venuto in questo luogo deserto, in cui non vi sono che spiriti maligni, e non si vive affatto sicuro?

Il mercante soddisfece la curiosità del vecchio raccontandogli l’avventura che l’obbligava a starsene là.

Il vecchio l’ascoltò con istupore, e prendendo la parola:

—   Ecco — esclamò — la cosa più sorprendente del mondo: e voi vi siete legato con un giuramento inviolabile! Io voglio — aggiunse — essere testimonio della vostra conferenza col Genio.

Ciò dicendo, si assise presso il mercante: e mentre s’intrattenevano arrivò un altro vecchio seguito da due cani neri. S’avanzò fino a loro, e li salutò, domandò che facessero colà. Il vecchio che conduceva la cerva gli raccontò l’avventura del mercante.

Il secondo arrivato, trovando la cosa degna di curiosità, prese la stessa risoluzione. Si assise vicino agli altri, ed appena si unì alla loro conversazione, sopravvenne un terzo vecchio, che dirigendosi a’ due primi, domandò loro perché il mercante ch’era con essi apparisse sì tristo. Glie ne fu detta la ragione, e anch’esso volle essere testimonio di ciò che avverrebbe fra il Genio ed il mercante, perciò si unì agli altri. Essi videro ben tosto nella campagna un denso vapore come un turbine di polvere elevato dal vento. Quel vapore, avanzandosi fino a loro, e dissipandosi ad un tratto, lasciò scorgere il Genio, che senza salutarli si appressò al mercante con la sciabola in mano, e prendendolo pel braccio:

—   Levati — disse — perch’io ti uccida, come tu hai ucciso mio figlio!

Il mercante e i vecchi spaventati si misero a piangere, riempiendo l’aria di grida…

Quando il vecchio che conduceva la cerva vide il Genio afferrare il mercante, si gettò ai piedi di quel mostro, e baciandoglieli:

—   Principe de’ Genii — gli disse — io vi supplico umilmente di sospendere la vostra collera, e di farmi la grazia di ascoltarmi. Io vi racconterò la mia storia, nonché quella di questa cerva, a condizione che se la trovate meravigliosa e sorprendente, vogliate rimettere a questo sventurato mercante il terzo della sua pena.

Il Genio stette qualche tempo a riflettere, ma infine rispose:

—   Ebbene, consento; vediamo.

—   Io comincio il mio racconto — riprese il vecchio.

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