Nov 082021
 

Questa cerva che voi vedete, è mia cugina, ed anche moglie. Essa non aveva che dodici anni quando la sposai. Siamo vissuti insieme trent’anni, senza che abbia avuti figli. Il solo desiderio d’aver figli mi fece sposare una schiava, di cui ne ebbi uno che prometteva molto. Mia moglie n’ebbe gelosia; prese in avversione la madre e il figlio, e nascose sì bene i suoi sentimenti, che io me ne accorsi troppo tardi.

Intanto mio figlio cresceva, ed aveva dieci anni, quand’io fui obbligato di fare un viaggio. Prima di partire raccomandai a mia moglie, la schiava ed il figlio, e la pregai di averne cura, durante la mia assenza, che fu d’un anno intero. Essa profittò di quel tempo per isfogare l’odio suo. Si applicò alla magìa, e quando seppe abastanza di quest’arte diabolica, la scellerata menò mio figlio in un luogo appartato; ivi co’ suoi incanti lo cangiò in vitello e lo diede al mio affittaiuolo. Né limitò il suo furore a questa abbominevole azione: cangiò anche la schiava in vacca, e del pari la diede al mio affittaiuolo.

Al ritorno io le domandai notizie della madre e del figlio.

—   La vostra schiava è morta — mi disse — e vostro figlio son due mesi che non lo veggo, né so che ne sia divenuto.

Fui dolentissimo per la morte della schiava: ma per il figlio, che era solamente disparso, mi lusingai di poterlo ritrovare.

Otto mesi passarono senza ch’ei ritornasse, ed io non ne aveva alcuna nuova, quando giunse la festa del gran Bairam.

Per celebrarla, ordinai al mio fittaiuolo di condurmi una vacca delle più grasse per farne un sagrificio. Egli obbedì. La vacca, da lui scelta era appunto la schiava. Io la legai, ma nel momento che mi apparecchiava a sacrificarla, essa cominciò a mandare pietosi muggiti: ed io mi avvidi che dagli occhi gli scorrevano rivi di lagrime.

Ciò mi parve straordinario e non potei risolvermi a ferirla, ed ordinai al mio fittaiuolo di andare a prenderne un’altra.

Mia moglie, che era presente, fremette della mia compassione.

—   Sposo, che fate? — gridò — immolatela!

Per compiacerla mi appressai alla vacca, e combattendo con la pietà che me ne faceva sospendere il sacrifizio, mi feci a darle il colpo mortale: ma la vittima  raddoppiando le lagrime ed i muggiti, mi disarmò la seconda volta.

Allora io posi la scure nelle mani del fittaiuolo, dicendogli:

—    Prendetela, sacrificatela voi; i suoi muggiti e le sue lagrime mi spezzano il cuore!

Il fittaiuolo, meno pietoso di me, la sacrificò: ma scorticandola si trovò aver essa solo le ossa.

Io n’ebbi gran dispiacere, e dissi al fittaiuolo:

— Prendetela per voi, ve la regalo, e se avete un vitello ben grasso, recatelo a me in sua vece.

Poco tempo dopo vidi arrivare un vitello grassissimo. Appena mi vide fece uno sforzo sì grande per venire a me, che ruppe la sua corda. Si gittò a’ miei piedi con la testa a terra, come se avesse voluto eccitare la mia compassione.

Io fui ancor più sorpreso che non lo era stato da’ gemiti della vacca.

—   Andate — diss’io al fittaiolo — riconducetevi il vitello. Abbiatene gran cura, ed in suo luogo recatene tosto un altro.

Quando mia moglie m’intese parlare così, non si tenne dal gridare:

—    Sposo, che fate voi? Credetemi, non sacrificate altro vitello che questo.

—   Sposa — esclamai — non l’immolerò, voglio fargli grazia.

La cattiva donna sdegnò di arrendersi alle mie preghiere. Essa non risparmiò nulla per farmi cangiar risoluzione: ma per quante me ne dicesse, io stetti fermo, e le promisi per acquietarla che l’avrei sacrificato l’anno vegnente.

Nel mattino del giorno seguente il mio fittaiuolo chiese di parlarmi in particolare.

—   Io vengo — mi disse — a darvi una novella. Io ho una figlia che sa qualche cosa di magìa. Ieri quand’io ricondussi all’ovile il vitello, di cui voi non voleste fare il sacrificio, osservai che essa rise vedendolo e che un momento dopo si pose a piangere. Le domandai perché facesse nel medesimo tempo due cose contrarie.

—   Padre mio — ella rispose — questo vitello è il figlio del nostro padrone.

Io risi di gioia vedendolo ancora vivente, e piansi ricordandomi del sacrificio che ieri si fece di sua madre cangiata in vacca. Queste metamorfosi sono state fatte per gl’incantesimi della moglie del nostro padrone, la quale odiava la madre ed il figlio. Ecco ciò che mi ha detto mia figlia.

—   A queste parole o Genio, — continuò il vecchio lascio a voi il pensare quale fu la mia sorpresa.

Immantinente partii col fittaiuolo per parlare io stesso a sua figlia. Arrivando andai subito alla stalla ov’era mio figlio.

Giunse la figlia del fittaiuolo a cui dissi:

— Figlia mia potete rendere mio figlio alla prima sua forma?

— Sì che lo posso — mi rispose — ma vi avverto che io non posso ritornar vostro figlio nel suo stato primiero che a due condizioni: la prima, che me lo diate in isposo: e la seconda che mi sia permesso di punire la persona che lo ha cangiato in vitello.

— Vi acconsento — le risposi — ma prima rendetemi il figlio.

Allora questa giovane prese un vaso pieno di acqua, vi pronunziò sopra delle parole ch’io non intesi, e volgendosi al vitello:

— O vitello, — disse — se tu sei stato creato dall’Onnipotente e sovrano padrone del mondo nella forma di cui sei, resta nel tuo stato: ma se sei un uomo, e fosti cangiato in vitello in forza d’incantesimo riprendi la tua naturale figura colla permissione del sovrano creatore.

Terminando queste parole gittò l’acqua su di lui, ed all’istante egli riprese la sua forma primiera.

— Figlio mio! caro figlio! — io esclamai allora, abbracciandolo con un trasporto di gioia. — È Dio che ci ha inviato questa giovinetta per distruggere l’orribile incanto di cui eravate circondato e vendicarvi del male

che fu fatto a voi ed a vostra madre. Sono sicuro che per riconoscenza vorrete prenderla per vostra sposa, come io mi sono impegnato.

Egli acconsentì con gioia, ma prima di sposarsi la giovane cangiò mia moglie in cerva, quale la vedete qui.

Dopo qualche tempo mio figlio divenne vedovo e andò a viaggiare. Siccome sono più anni che non ho sue nuove, mi sono posto in cammino per cercare di averne, e non volendo affidare ad alcuno la cura di mia moglie, ho giudicato a proposito di menarla meco dappertutto.

Ecco adunque la mia istoria e quella della mia cerva. Non è dessa delle più sorprendenti e delle più meravigliose?

— Ne son d’accordo — disse il Genio — ed in suo riguardo ti accordo il terzo della grazia di questo mercante.

Il secondo il quale conduceva i due cani neri, si diresse al Genio e gli disse:

— Io vi racconterò ciò che avvenne a me ed a questi due cani, sicuro che voi troverete la mia storia ancor più sorprendente di quella or ora intesa. Ma quando ve l’avrò raccontata, mi promettete voi il secondo terzo della grazia di questo mercante?

— Sì, — rispose il Genio — purché la tua storia sorpassi in novità quella della cerva.

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