Ago 102015
 

La signora mi ascoltò, con espressione grave e severa da piccolo segretario di Stato, e considerando in una sola occhiata come ero fatta, non mi rispose, mi chiese uno scellino in anticipo e quando glielo misi in mano mi disse che di posti per donne per i lavori più pesanti non era facile trovarne, soprattutto se troppo esili come me; però avrebbe controllato nel suo libro e avrebbe cercato una soluzione, ma avrei dovuto aspettare un po’ perché prima doveva sistemare altri clienti.

A quel punto feci un passo indietro, mortificata da un’affermazione che aveva in sé un’incertezza mortale che, nelle mie circostanze, non avrei potuto sopportare a lungo.

Alla fine, prendendo coraggio e cercando un diversivo alle preoccupazioni, mi azzardai a sollevare la testa e diedi un’occhiata in giro per la stanza, dove incrociai lo sguardo di una signora (così la considerai nella mia profonda innocenza) seduta in un angolo, con addosso un mantello di velluto (in piena estate!) e con il cappellino in mano. Aveva un viso marcato e paffuto ed era sulla cinquantina.

Mi fissava divorandomi con gli occhi, e mi scrutava da capo a piedi, senza mostrare il benché minimo riguardo per il disagio e l’imbarazzo che il suo sguardo incessante mi arrecava, e che, senza dubbio, ella interpretò come principale indicazione del fatto che io fossi giusta per i suoi scopi. Dopo un po’ di tempo, durante il quale il mio portamento, la mia persona e la mia intera figura erano stati sottoposti a un attento esame, che io, da parte mia, tentai di rendere a mio favore assumendo un atteggiamento composto, allungando il collo e mettendomi nelle mie pose migliori, la donna si avvicinò e mi si rivolse con grande contegno:

«Dolcezza, vuoi un posto?»

«Sì, ve ne sarei grata», (facendo un profondo inchino).

Alla mia risposta, mi spiegò di essersi recata di persona all’ufficio di collocamento per cercare una serva; che riteneva che io potessi essere adatta, dopo essere stata istruita a dovere; che le avevo fatto una buona impressione, perché Londra era un luogo vile e malvagio, e che sperava mi sarei comportata bene, tenendomi alla larga da brutte compagnie; in breve, mi disse tutto ciò che una vecchia donna esperta di città poteva sapere e che fu molto più del necessario per convincere una giovane e inesperta ragazza di campagna che temeva perfino di ridursi a vagabondare per le strade. Pertanto colsi al volo la prima offerta di un tetto, soprattutto perché arrivava da una signora dall’aspetto così perbene e matronale: quella era l’idea ingannevole che mi ero fatta della mia nuova padrona. Tutto accadde sotto il naso della brava donna che gestiva l’ufficio, e non potei fare a meno di osservare che ella sorrideva e scrollava le spalle, gesti che io confusi con gioia per la mia rapida assunzione. Solo in seguito compresi che le due gentil dame erano in accordi, e che quello era il mercato che la signora Brown, la mia padrona, spesso frequentava allo scopo di reperire qualsiasi merce fresca che quel luogo offriva, al fine di soddisfare i propri clienti e profitti.

Tuttavia la signora era così compiaciuta di quell’affare che, temendo forse che qualche buon consiglio o incidente potesse portarmi via dalle sue grinfie, mi accompagnò di gran fretta alla locanda, dove ella stessa chiese del mio baule, che le venne consegnato di fronte a me senza nessuno scrupolo o interesse riguardo a dove stessi andando.

Dopodiché ordinò al vetturino di portarci in un negozio nei pressi del sagrato di St. Paul, dove comprò un paio di guanti, che poi mi diede, e in seguito ordinò all’uomo di portarci a casa sua in … Street. Egli ci scaricò davanti alla porta dopo che per tutto il tragitto mi aveva rassicurata e intrattenuta con le menzogne più plausibili, senza lasciarsi sfuggire mai una sillaba che potesse farmi pensare ad altro che alla mia grande fortuna per essere finita nelle mani della più gentile delle padrone, per non dire amica, che ci fosse al mondo. Di conseguenza io varcai l’uscio nella piena fiducia ed esultanza, promettendo a me stessa che, non appena mi fossi sistemata, avrei fatto sapere a Esther Davis del mio colpo di fortuna.

Le posso assicurare che l’ottima opinione che mi ero fatta del posto non diminuì quando fui condotta in un bel salottino che, non avendo mai visto niente di più delle semplici stanze delle locande lungo la strada, mi sembrò arredato con eleganza. C’erano due specchiere dorate e un buffet, sopra il quale erano appoggiati dei piatti in bella mostra, scintillanti, e tutto mi persuase a credere di essere finita in una famiglia davvero rispettabile.

A quel punto la padrona iniziò la sua parte, dicendomi che dovevo essere allegra e disinvolta verso di lei, perché non mi aveva presa per fare la semplice serva e sbrigare i lavori domestici, ma anche per farle compagnia, e se mi fossi comportata bene, lei sarebbe stata come più di venti madri per me. La mia risposta non fu nient’altro che profonda e goffa riverenza, accompagnata da pochi monosillabi come «Sì! No! Certamente!».

Alla fine la padrona suonò il campanello e arrivò la robusta cameriera che ci aveva fatte entrare. «Dunque, Martha», le disse la signora Brown, «ho appena assunto questa ragazza per badare alla mia biancheria. Accompagnala di sopra e mostrale la sua camera. Ti raccomando di trattarla con lo stesso rispetto che hai per me, perché mi è particolarmente simpatica e farei qualsiasi cosa per lei».

Martha, che era una vecchia volpe abituata a quelle scenette, recitò la sua parte alla perfezione, e mi fece un mezzo inchino invitandomi a seguirla di sopra, dove mi mostrò una bella camera in fondo al secondo piano, nella quale c’era un comodo letto che, disse Martha, avrei dovuto dividere con una giovane gentildonna, una cugina della padrona, la quale sarebbe stata molto generosa con me. Quindi si perse in una serie di sdolcinati encomi sulla sua buona padrona! la dolce padrona! e su quanto io fossi fortunata a starle accanto! che non avrei potuto desiderare di meglio; e altre sciocchezze del genere che avrebbero fatto sospettare chiunque non fosse stata una sempliciotta inesperta e del tutto nuova alla vita, che interpretava ogni parola proprio come ella voleva che la interpretassi. Ben presto, però, si rese conto della presa che aveva su di me e valutò bene fino a che punto prendermi in giro, in modo che io arrivassi ad amare la mia gabbia e a ignorarne le catene.

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