Ott 052015
 

Alle cinque del pomeriggio del giorno seguente, puntuale come promesso, Phoebe venne nella mia stanza e mi disse di seguirla.

Scendemmo di soppiatto per la scala posteriore e aprì la porta di uno stanzino dov’erano conservati alcuni vecchi mobili e delle casse di liquore, quindi mi fece entrare dietro di lei e richiuse. L’unica luce proveniva da una feritoia nella parete che ci separava dalla stanza dove si sarebbe tenuto l’incontro. Ci sedemmo sulle casse, da dove potevamo vedere con comodità e chiarezza ogni cosa senza essere viste: bastava avvicinare gli occhi alla feritoia dove la modanatura del pannello si era deformata o leggermente incurvata sull’altro lato.

Il giovane gentiluomo fu il primo che vidi, era di spalle e stava osservando una stampa. Polly non era ancora arrivata, ma meno di un minuto dopo la porta si aprì e lei fece il suo ingresso. Al rumore della porta che si apriva, il giovane si voltò e le andò incontro con espressione di grande tenerezza e soddisfazione.

Dopo averla salutata, la accompagnò al divano che era proprio di fronte a noi, e si sedettero. Il giovane genovese le offrì un bicchiere di vino insieme a dei biscotti di Napoli serviti su un vassoio.

In seguito, dopo essersi scambiati qualche bacio e qualche domanda in un inglese stentato, cominciò a sbottonarsi la camicia.

Come se quello fosse stato il segnale concordato per spogliarsi di tutti i loro vestiti, cosa che il calore della stagione favoriva, Polly iniziò a slacciarsi l’abito, e poiché non portava nessun corsetto si ritrovò in un attimo, con l’aiuto del suo ossequioso cavaliere, spogliata di tutto tranne che della camiciola.

Di fronte a tale vista, il giovane si slacciò i calzoni, il panciotto e il reggi calzini, e li lasciò cadere alle caviglie per poi sfilarseli, quindi sbottonò anche il colletto della camicia. A quel punto, dopo aver dato un bacio d’incoraggiamento a Polly, sfilò la camiciola alla ragazza, la quale, suppongo, pur essendo abituata a quel costume, arrossì, anche se non quanto me al vederla lì nuda, così come la natura l’aveva creata, con i capelli neri sciolti a che cadevano lungo il magnifico collo bianco sulle spalle, mentre l’intenso colorito delle sue guance sfumava gradualmente verso un candore niveo; tali erano le varietà di colori che rifinivano la sua pelle.

Quella ragazza non dimostrava più di diciotto anni: aveva un volto regolare e dai tratti gentili, le sue forme erano squisite, e non potei fare a meno di invidiare i suoi incantevoli seni maturi, delicatamente sporgenti, ma così tondi e sodi che stavano su da soli senza necessità di sostegno, e poi quei capezzoli che puntavo in direzioni diverse e segnavano la piacevole linea di separazione. Al di sotto c’era un ventre delizioso, che terminava con una fessura appena accennata che il pudore sembrava far rientrare verso il basso per cercare rifugio tra le cosce carnose; i riccioli che spuntavano lì davanti la ricoprivano come la più preziosa pelliccia di ermellino. In breve, era il soggetto perfetto per pittori che volessero ritrarre la bellezza femminile nella fierezza e magnificenza della sua nudità.

Il giovane italiano, ancora con la camicia addosso, la fissava meravigliato ed eccitato alla vista di tali bellezze che avrebbero risvegliato perfino un vecchio moribondo. I suoi occhi bramosi la divoravano mentre lei cambiava atteggiamenti assecondando i suoi desideri: nemmeno le sue mani si risparmiavano di godere di così tanta grazia, ma vagavano alla ricerca di piacere in ogni parte del suo corpo così adatto ad offrirne in abbondanza.

Nel frattempo era impossibile non notare il gonfiore sotto la camicia del giovane, che lasciava immaginare le condizioni delle cose laggiù; ma in un attimo si mostrò sfilandosi la camicia sopra la testa, e ora entrambi, in quanto a nudità, non avevano nulla da invidiare l’una all’altro.

Phoebe sosteneva che il giovane gentiluomo avesse circa ventidue anni. Era alto e muscoloso, il corpo ben scolpito e vigoroso, spalle squadrate e ampio torace. Il viso non era particolarmente interessante, se non per il profilo romano, i grandi occhi neri e brillanti e un rossore sulle guance che esaltava la carnagione scura, ma non di quel colorito spento che esclude l’idea di freschezza, bensì di quel bel colore olivastro che brilla di vita, che forse colpisce meno del candore ma che quando piace, piace assai di più. I capelli, troppo corti per essere raccolti, cadevano poco più giù del collo in piccoli boccoli, e una rada peluria intorno ai capezzoli si estendeva sul petto donandogli un aspetto forte e virile. E infine il suo grande strumento, che sembrava spuntare da un folto cespuglio di ricci che lo circondava alla base e si estendeva sulle cosce e su fino all’ombelico, si ergeva rigido, con dimensioni tali che mi fecero temere per la piccola e tenera parte oggetto della sua furia, che ora giaceva bene esposta alla mia vista. Il giovane, subito dopo essersi spogliato della camicia, spinse con delicatezza la ragazza sul divano che si trovava nella posizione più conveniente ad accogliere la sua caduta volontaria. Le sue cosce erano spalancate e lasciavano intravedere il segno del sesso, la rossa fessura di carne le cui labbra si scurivano all’interno e formavano una piccola linea rosata, come una delicata miniatura che nemmeno il tocco o i colori di Guido Remi avrebbero mai potuto ritrarre con la stessa vivacità e delicatezza.

A questo punto Phoebe mi toccò la spalla per attirare la mia attenzione e mi sussurrò all’orecchio se pensavo che la mia piccola parte virginale fosse molto più piccola di quella. Ma ero troppo presa e attratta da quello che vedevo per riuscire a risponderle.

A quel punto il giovane gentiluomo aveva cambiato la posizione di lei, facendola distendere lungo il divano, con le cosce sempre aperte per offrirsi a lui, e si inginocchiò in mezzo permettendoci di vedere il profilo della sua macchina fiera ed eretta che ora minacciava di fendere la tenera vittima. Lei giaceva sorridente in attesa del colpo. Egli guardò la sua stessa arma compiaciuto, e guidandola con la mano verso l’invitante fessura, la condusse attraverso le labbra e la conficcò (dopo qualche spinta che Polly sembrava addirittura assecondare) per metà, ma poi si fermò, forse per le crescenti dimensioni. La estrasse di nuovo e, dopo averla inumidita con la saliva, la reintrodusse senza fatica fino in fondo, e allora Polly emise un gemito che non sembrava affatto di dolore. Lui spingeva, lei lo riceveva, all’inizio lentamente e con ritmo regolare, ma alla fine la passione si fece troppo violenta per riuscire a osservare un ordine e una misura: i loro movimenti erano così rapidi, i loro baci così focosi che la natura non avrebbe potuto sopportare quella furia a lungo. Entrambi mi sembravano avere perso il controllo e i loro occhi erano infuocati: «Oh!… oh!… non lo posso sopportare… è troppo… non resisto più … muoio», erano le espressioni estatiche di Polly. La gioia di lui era più silenziosa, ma presto arrivarono i gemiti spezzati, sospiri che salivano dal cuore, e infine un’ultima liberatoria spinta, come se avesse voluto entrare ancor di più. Poi, l’immobile languore delle sue membra indicò che il momento dell’estasi era giunto per lui, e lei diede segni evidenti di partecipare, con il selvaggio agitarsi delle mani, chiudendo gli occhi e con un profondo singhiozzo nel quale sembrava dovesse spirare in un’agonia di suprema beatitudine.

 Leave a Reply

You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>

(required)

(required)

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.