Mar 142016
 

«Sembra che il suo modo di andare a fondo, che nella mia estrema ignoranza avevo scambiato per qualcosa di fatale, non fosse altro che un gioco di cui non avevo mai sentito parlare: trattenne il fiato così a lungo che nel momento in cui accorsi per salvarlo egli era ancora sott’acqua, e quando riemerse mi trovò svenuta sulla sponda. La prima idea che gli passò per la testa fu che volessi prendermi gioco di lui, poiché non potevo essermi addormentata lì sulla riva senza che mi avesse vista prima. Convinto di questo, si avvicinò e, vedendomi priva di sensi, sempre più perplesso, mi prese in braccio e mi portò alla villetta, poiché aveva notato che la porta era aperta. Lì mi stese sul divano e cercò, giurò in buona fede, di farmi riprendere i sensi in ogni modo, finché, ormai eccitato oltre ogni limite per avermi vista e toccata in alcune parti del corpo rimaste accidentalmente esposte, non riuscì più a controllare la propria passione. Inoltre, non era del tutto sicuro che lo svenimento non fosse una finzione, così, allettato da quell’idea e sopraffatto da quelle che definì tentazioni sovraumane, considerata la solitudine e l’apparente sicurezza della casa, non fu più padrone di sé. Andò allora a chiudere la porta e tornò da me doppiamente eccitato: mi sistemò nella posizione che più gli comodava, mentre io giacevo come morta, fino a quando il dolore non mi destò permettendomi di assistere a un trionfo al quale non potei reagire, e di cui mi rammaricavo poco. Mentre parlava, il tono della sua voce risuonava dolce nelle mie orecchie, e la considerevole vicinanza con un oggetto così nuovo e interessante mi fece vedere tutto sotto una luce più piacevole, al punto che mi scordai dell’oltraggio subìto. Il giovane gentiluomo scorse ben presto tutti i segnali di una riconciliazione nella mia espressione addolcita, e ansioso di riceverne il sigillo dalle mie labbra, mi strinse a sé e, per ringraziarmi del perdono, mi baciò con tale passione che la sensazione arrivò dritta al cuore, passando per la mia sfera di Venere appena scoperta: a quel punto mi sciolsi, non avrei potuto rifiutargli nulla. Ora gestiva le sue carezze e il suo affetto così abilmente da farmi dimenticare il dolore passato e pregustare solo il piacere futuro. Siccome il mio pudore mi impediva di guardarlo negli occhi, essi cascarono sullo strumento del misfatto, che ora stava riacquisendo le capacità per rinnovare l’assalto: non avevo termini di paragone, eppure mi sembrò crescere fino ad assumere una dimensione allarmante. Il giovane allora lo mise, duro e rigido, in una mia mano, che incurante lo lasciò fare. Poi si prodigò in dolci preliminari e, un po’ alla volta, sentendo crescere di nuovo in me la passione e il desiderio, stimolati dalla vista e dal tocco incendiario delle sue nude bellezze, cedetti sotto la forza di quelle impressioni. Ottenne così il tacito consenso alle gratificazioni del piacere che il mio povero corpo poteva offrire dopo che egli ne aveva colto il fiore più bello. Qui il mio racconto si dovrebbe fermare, ma ormai sono troppo coinvolta. Aggiungerò solo che tornai a casa senza destare alcun sospetto su ciò che era successo. Incontrai ancora altre volte il mio giovane stupratore, del quale ero ormai innamorata alla follia e che, se non fosse stato troppo giovane per avere una sua piccola rendita, mi avrebbe certo sposata. L’incidente che ci separò e le conseguenze che mi portarono a diventare una donna di piacere sono troppo tristi e gravi per poterle raccontare, quindi mi fermerò qui».

Era il turno di Louisa, la brunetta di cui avevo parlato prima. Le ho già descritto le sue grazie così squisitamente toccanti, e dico toccanti perché ogni altro aggettivo sarebbe meno efficace. Ecco dunque il suo racconto:

«Rispettando le mie massime di vita, inizierò con il dire che la mia nascita è frutto dell’amore puro e non coniugale. Sono il raro frutto dell’amore tra un falegname e la cameriera del suo padrone. La conseguenza del loro rapporto fu il pancione di mia madre, motivo per cui il padrone la licenziò. Mio padre era senza mezzi e poteva fare ben poco per lei. Così, quando infine si liberò del suo fardello, lei mi lasciò a un parente che viveva in campagna e se ne andò a Londra, dove si sposò con un pasticcere con una buona rendita, e grazie all’ascendente che mia madre aveva su di lui, mi fece passare per la figlia avuta dal precedente matrimonio. Allora mi portò a casa con sé, ma non avevo ancora compiuto sei anni quando il mio patrigno morì, lasciando a mia madre una piccola rendita e nessun altro figlio. Per quanto riguarda il mio padre naturale, seppi che si era imbarcato ed era morto piuttosto povero, non essendo che un semplice marinaio. Intanto crescevo tra le cure di mia madre, che portava avanti il negozio e vigilava assai severamente su di me, temendo di vedermi seguire il suo esempio. Ma non si possono scegliere le passioni, così come non possiamo scegliere i nostri lineamenti o il colore della pelle. Il mio richiamo al piacere proibito era così forte che alla fine vinse su tutte le sue cure e precauzioni. Non avevo ancora dodici anni quando quella parte di me che mia madre cercava di preservare con tanta cura cominciò a farsi sempre più impaziente: aveva già sviluppato segni di precocità con un germoglio di soffice peluria che la copriva, e che avevo spesso curato e coltivato con frequenti carezze e ispezioni, compiaciuta di quel piccolo riconoscimento di femminile maturità, che fremevo per ottenere grazie ai piaceri ad essa collegati. La crescente importanza di quella parte di me e le nuove sensazioni che suscitava demolirono in un attimo i miei giochi e divertimenti di bambina. La natura ora mi trascinava con forza verso più solide distrazioni, mentre le fitte di desiderio si concentravano tutte in quel piccolo centro, dove avevo ormai capito che mi serviva un compagno di giochi».

«Allora cominciai a evitare tutte le compagnie in cui non c’era speranza di trovare l’oggetto dei miei desideri, e mi chiusi nella solitudine a indugiare sulla dolce meditazione del piacere che percepivo con tanta intensità in quell’apertura, toccandomi e ispezionandomi laddove la natura doveva aver posto la via prescelta, oltre i cancelli di quella beatitudine sconosciuta per la quale bramavo».

«Quelle meditazioni non fecero che aumentare il mio disordine e attizzare il fuoco che mi bruciava dentro. Ed era ancora peggio quando alla fine, cedendo alle insopportabili voglie di quel piccolo incantesimo, mi tormentavo con le dita in cerca di soddisfazione. Talvolta, presa dalla folle eccitazione del desiderio, mi buttavo a letto, spalancavo le cosce e restavo così, in attesa del tanto desiderato sollievo, finché, comprendendo la mia illusione, le chiudevo e stringevo forte bruciando e consumandomi di desiderio. In breve, questa diabolica sensazione, fatta di impeti e fiamme struggenti, mi condusse a una vita di continuo tormento, giorno e notte. Tuttavia, arrivai al punto di credere che avrei ottenuto la mia ricompensa quando realizzai che le mie dita rassomigliavano all’oggetto dei miei desideri, così mi feci strada dentro di me, con grande smania e delizia, finché arrivai, non senza dolore, a deflorarmi da sola, per quanto possibile, avanzando con una tale passione per raggiungere quell’ultimo piacere solitario che mi ritrovai distesa a letto senza fiato, sciolta in un delirio amoroso».

«Ma la frequenza di questa pratica sminuì ogni sensazione, e ben presto iniziai a percepire che quello non era altro che uno squallido espediente che non appagava a sufficienza il fuoco che le sterili e insignificanti titillazioni accendevano».

«L’istinto mi suggeriva che solo un uomo, come avevo industriosamente percepito a matrimoni e battesimi, possedeva il rimedio a quella smania ribelle, ma ero così controllata e sorvegliata che sembrava proprio impossibile trovarne uno. Non che non mi fossi scervellata pensando a come eludere la sorveglianza di mia madre e procurarmi così la soddisfazione ai miei desideri e alle mie curiosità per quel piacere intenso e sconosciuto. Alla fine, comunque, arrivò l’occasione giusta. Un giorno avevamo pranzato insieme alla dirimpettaia e alla vicina del primo piano. Nel pomeriggio mia madre doveva accompagnare la signora per certe commissioni a Greenwich, e voleva che andassi anch’io. Non avevo nessuna voglia di sobbarcarmi quel viaggio e quindi inventai un mal di testa. Mia madre, seppur riluttante, decise di andare comunque senza di me, ma prima si assicurò di riportarmi a casa al sicuro, dove mi affidò alla domestica di fiducia, che l’aiutava nel negozio, e dove non c’era un sola creatura di sesso maschile».

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