Gen 252016
 

Allora iniziarono i soliti dolci preliminari, non meno deliziosi dell’apice del godimento in sé. Spesso nasce da essi un’impazienza che demolisce il piacere per la fretta di giungere al momento finale, all’ultimo atto dell’estasi in cui gli attori sono di solito così appagati da desiderare di farlo durare in eterno.

Dopo esserci riscaldati a sufficienza con giochi, baci, carezze rivolte al mio seno, ora tondo e sodo, e quella parte di me che potrei definire la bocca di una fornace, tanto era il prodigioso calore che le sue dita impetuose avevano attizzato, il mio giovane atleta, incoraggiato da tutte le libertà che gli erano concesse, mi prese la mano e la portò su quel suo enorme arnese, che ora si ergeva così rigido e duro, in erezione, e che, insieme alla sua appendice sottostante, l’inestimabile borsa dei gioielli per signore, formava un’esposizione di merci grandiosa. E poi le dimensioni, che si facevano beffa della mia presa, rinnovavano quasi le mie paure.

Non mi capacitavo di come avrei potuto prendere in mano un tale ingombro senza vederlo. Lo accarezzai, e subito il ribelle mascalzone sembrò gonfiarsi e guadagnare un nuovo livello di fierezza e insolenza. Era già così ingrossato che capii che non c’era altro tempo da perdere e mi preparai per la partita decisiva.

Facendo scivolare un cuscino sotto di me in modo da permettergli di giocare alla pari, guidai con la mano quel furioso ariete, la cui testa vermiglia rassomigliava un cuore, e lo appoggiai sull’apposito bersaglio, che giaceva ben sollevato: con fianchi rialzati, le cosce aperte al massimo e il vivace calore che emanavano gli fecero capire di trovarsi sulla bocca del passaggio, e, con una potente spinta, le labbra di quel canale assetato di piacere furono separate con prepotenza e lo accolsero. Egli esitò un istante, poi, una volta sistematosi all’interno, si fece strada dentro di me con una leggera difficoltà che non faceva altro che aumentare il piacere, mentre la via si apriva sempre di più, distendendo e levigando ogni dolce piega. Il nostro godimento aumentava con delizia mano a mano che i punti di mutuo contatto crescevano nel centro vitale in cui ora lo avevo preso, completamente immerso e avvolto, e che pieno com’era gli offriva un alloggio piacevolmente stretto, una suzione così potente da dare e ricevere un piacere inenarrabile. Avevamo dunque raggiunto il massimo punto di contatto, ma quando egli indietreggiò un po’ per sferrare un colpo più potente, come colta dalla paura di perderlo, all’apice della foga, cinsi forte i suoi fianchi nudi tra le mie cosce, la cui pelle soda ed elastica fremette per la pressione. Ora lo avevo dentro di nuovo, circondato e avvolto, i nostri corpi uniti tramite quel punto. Il mio abbraccio fermò l’atto per un momento, una pausa piacevole, mentre la delicata ingordigia della mia bocca inferiore, ormai piena, continuò ad assaporare quello squisito boccone che aveva golosamente ingoiato. Ma il piacere era troppo intenso e provocante per non soddisfarlo subito. Riprendemmo così la galoppata finale con il doppio del vigore: io, da parte mia, non giacevo certo inerte, bensì andavo incontro ai suoi movimenti impetuosi, al punto che il soffice tessuto dei nostri monti si rivelava ora davvero utile per attutire la violenza degli scontri. Ben presto l’estrema agitazione e la dolce urgenza di questa frizione mi portò verso l’apice del godimento, al punto che mi trovai quasi a lasciare indietro il mio compagno di piacere, così misi in atto tutti i movimenti successivi nel modo in cui la mia esperienza mi suggeriva per far sì di giungere insieme alla fine del viaggio. Allora, non solo strinsi la cinta di piacere intorno al mio instancabile ospite, con una segreta contrazione volontaria in quelle parti, ma con delicatezza strizzai la sacca di delizie della natura che pende al di sotto del loro condotto; lì tastai e palpai quelle riserve globose, e in un istante il magico tocco fece accelerare i sintomi della dolce agonia, portando infine al momento liberatorio della dissoluzione, quando il piacere muore per mano del piacere stesso, e il misterioso arnese conclude il titillamento inondando le parti assetate con un caldo liquido, esso stesso il più alto dei titillamenti, mentre quelle lo catturano e risucchiano come una sanguisuga, che per raffreddarsi succhia tutto il liquido nella sua sfera di assorbimento. Le campane risuonarono a festa nel momento di massima estasi, e i suoi oli balsamici si mescolavano deliziosamente con i succhi che fluivano da me, smussando così ogni fitta di piacere, mentre un voluttuoso languore si impadronì di noi, lasciandoci immobili e avvinghiati l’uno nelle braccia dell’altra. Ahimè, quelle gioie non durano mai a lungo. Ora che aveva raggiunto l’apice del godimento, tutte le forti sensazioni svanirono, lasciandoci alla fredde incombenze della vita. Liberandomi dal suo abbraccio, gli spiegai che avrebbe dovuto andar via. Egli, per quanto riluttante, si rivestì con calma, interrompendosi di tanto in tanto per darmi baci, carezze e abbracci che non potevo rifiutare. Poi il giovane tornò allegramente dal suo padrone prima che qualcuno notasse la sua mancanza. Al momento di andarsene, però, lo costrinsi (poiché aveva l’orgoglio di rifiutare) a ricevere abbastanza denaro per comprarsi un orologio d’argento, elegante oggetto per subalterni, che egli alla fine accettò come pegno del mio affetto.

E qui, signora, dovrei forse scusarmi per questa descrizione dettagliata di fatti che si mantengono così vividi nella mia memoria per le forti impressioni che mi suscitarono. A parte il grande cambiamento che tale intrigo portò nella mia vita, la cui verità storica non posso nasconderle, non potrei tollerare di dimenticare o sopprimere per ingratitudine un così alto piacere solo perché lo trovai in una persona di basso rango, dove, invece, è molto spesso più puro e meno sofisticato che in quei signori falsi e ridicoli il cui orgoglio fa sì che vengano truffati. I signori! Non sanno che tra coloro che chiamano volgari, solo pochi sono più ignoranti e non coltivano l’arte del bel vivere. Sono proprio i signori, lo dico, a confondere le cose più avulse con il vero piacere, mentre esso consiste nel puro godimento della bellezza, ovunque si trovi, senza distinzione di nascita o condizione sociale.

Non ci fu mai amore, e ora che anche la vendetta era compiuta, ciò che mi legava a quel giovane era solo il puro piacere: per quanto la natura fosse stata così generosa con lui, soprattutto con quel superbo pezzo di arredamento con cui lo aveva arricchito, rendendolo così qualificato per scaturire una festa dei sensi, c’era sempre qualcosa che mancava al fine di completare il quadro dell’amore. Tuttavia, Will aveva davvero ottime qualità, era gentile, docile, riconoscente e silenzioso, perfino troppo: parlava sempre molto poco, ma compensava quei silenzi con l’azione, e, a onor del vero, non mi diede mai motivo di lamentarmi, né abusò mai delle libertà che gli concedevo, rendendole oggetto d’indiscrezione. Esiste dunque una certa fatalità nell’amore, altrimenti me ne sarei innamorata, perché era un vero tesoro, il bocconcino ideale per la bonne bouche di una duchessa. A dire la verità, il ragazzo mi piaceva così tanto che mi sarebbe stato molto più difficile negare di amarlo.

Tuttavia, la mia felicità non era destinata a durare a lungo. Se nei primi tempi mi ero curata di prendere mille precauzioni per non essere scoperta, il successo della mia impresa mi aveva resa in un certo senso baldanzosa e audace e di conseguenza imprudente. Non era passato ancora un mese dal nostro primo rapporto amoroso quando un mattino, in un’ora in cui di solito il signor H… non veniva a trovarmi, ero nel mio spogliatoio occupata a mettermi in ordine. Indossavo solo la camicia da notte. Will era venuto da me e come al solito eravamo tutti e due molto eccitati e quindi decidemmo di non lasciarci sfuggire l’occasione così propizia. Mi sentivo particolarmente vogliosa, con i sensi all’erta, e mi prese d’improvviso il capriccio di chiedere a Will di soddisfarmi. Lui non se lo fece ripetere due volte. Ero seduta sulla seggiola con le cosce spalancate e poggiate sui braccioli, pronta per accogliere l’arma sfoderata di Will, e proprio mentre stava per affondarla dentro di me, avendo dimenticato di chiudere a chiave la porta della camera e lasciato quella dello spogliatoio socchiusa, il signor H… irruppe e, prima di potercene accorgere, ci colse in flagrante.

Cacciai un grido e mi abbassai la sottoveste, mentre il ragazzo lo guardava attonito e tremante, come se fosse in attesa di una condanna a morte. Il signor H… rimase a fissarci con occhi pieni di disprezzo e indignazione. Poi, senza dire una parola, si voltò e uscì.

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