Mag 082023
 

I piaceri ebbero ancora bastanti attrattive per cancellare dalla mia memoria tutte le pene e i mali ch’io aveva sofferti, senza potermi togliere il desiderio di fare nuovi viaggi. Comprai delle mercanzie, le feci imballare e caricare sopra vetture, e partii per recarmi al primo porto di mare. Colà per non dipendere da un capitano e per avere un naviglio al mio comando, mi divertii a farne costruire uno ed equipaggiarlo a mie spese. Appena terminato lo feci caricare, e mi imbarcai sovr’esso: accolsi con me parecchi mercanti di diverse nazioni colle loro mercanzie.

Facemmo vela al primo vento favorevole e prendemmo il largo.

Dopo una lunga navigazione, il primo luogo dove approdammo fu un’isola deserta in cui trovammo l’uovo di un Roc di una grandezza pari a quello del quale mi avete inteso parlare. Esso racchiudeva un piccolo Roc vicino a schiudersi, il cui becco cominciava già a comparire.

I mercanti, che s’erano imbarcati sul mio naviglio, ruppero l’uovo a gran colpi di scuri e fecero un’apertura, donde estrassero a brani il piccolo Roc e lo fecero arrostire.

Avevano appena finito il loro saporoso pasto, quando apparvero in aria due grosse nuvole molto lungi da noi. Il Capitano, il quale io aveva ingaggiato per condurre il mio vascello, sapendo per esperienza ciò che quello significasse, esclamò che erano il padre e la madre del piccolo Roc, e ci fece premura perché c’imbarcassimo al più presto per evitare il malanno ch’ei prevedeva.

Intanto i due Roc s’appressarono, mandando grida spaventevoli.

Col disegno di vendicarsi, ripresero il volo dalla parte da cui eran venuti e disparvero per qualche tempo, mentre noi facevamo forza di vele onde prevenire ciò che non mancò di accaderci.

Essi tornarono, ed osservammo che ciascun d’essi teneva fra gli artigli un pezzo di scoglio di un’enorme grandezza. Quando furono precisamente al di sopra del mio vascello, si arrestarono, e sostenendosi in aria, uno d’essi abbandonò il pezzo di scoglio che teneva, ma per l’abilità del timoniere, il quale fece spostare il naviglio con un colpo di timone, esso non ci colpì. L’altro uccello, per nostra sventura, lasciò cadere il suo scoglio in mezzo al nostro vascello, da rompercelo e fracassarcelo in mille pezzi. I marinai e i passeggieri furno tutti schiacciati e sommersi. Io pure fui sommerso, ma ritornando a galla ebbi la fortuna di afferrarmi a una tavola. Così, aiutandomi or con una mano ora coll’altra, senza staccarmi punto da quel ch’io teneva, col vento e colla corrente che m’eran favorevoli, giunsi infine a un’isola.

Mi sedetti sull’erba per rimettermi un poco dalla mia stanchezza; indi mi alzai, inoltrandomi nell’isola onde riconoscere il terreno.

Quando mi fui un poco inoltrato, scorsi un vecchio che mi parve molto infermo. Egli era assiso sulla riva d’un ruscello. Immaginai a prima vista che fosse alcuno il quale avesse fatto naufragio come me; mi accostai, lo salutai, ed egli mi fece solo un lieve inchino di testa.

Gli domandai che cosa facesse là, ma invece di rispondermi, mi fece segno di caricarmelo sulle spalle e di passarlo al di là del ruscello, facendomi capi- re ciò esser per cogliere delle frutta.

Credetti ch’egli avesse bisogno ch’io gli rendessi quel servigio; e, avendomelo posto addosso, passai il ruscello.

— Scendete — gli dissi allora — abbassandomi per facilitargli la discesa, ma invece di lasciarsi andare a terra, quel vecchio, che m’era sembrato sì decrepito, mi passò leggermente attorno al collo le sue due gambe, e si pose a cavalcioni sulle mie spalle stringendomi sì forte la gola, da sembrare mi volesse strangolare. Mi appuntò fortemente al petto uno de’ suoi piedi, e coll’altro battendomi aspramente il fianco, mi obbligò a rialzarmi mio malgrado.

Quando fui ritto, mi fece camminare sotto alcuni alberi, forzandomi a fermarmi per cogliere e mangiare le frutta che incontravamo, e non lasciandomi punto durante il giorno; quando la notte io voleva riposarmi si stendeva per terra con me, sempre attaccato al mio collo.

Un giorno che trovai sulla via parecchie zucche secche ne presi una assai grossa, e dopo averla ben nettata, vi spremetti dentro il sugo di parecchi grappoli d’uva, frutto abbondantissimo nell’isola. Quando ne ebbi riempita la zucca, la posai in un sito ove ebbi l’abilità di farmi condurre dal vecchio parecchi giorni dopo.

Io presi la zucca, e portandola alla bocca, bevetti di un eccellente vino, il quale mi fece obliare per qualche tempo il dolore mortale da cui io era oppresso.

Il vecchio essendosi accorto dell’effetto prodotto in me da quella bevanda, mi fece segno di dargliene a bere: gli presentai la zucca, la prese, e come il liquore gli parve aggradevole, la vuotò fino all’ultima goccia. Ve n’era quanto bastava per ubbriacarlo; bentosto il fumo del vino salendogli alla testa, cominciò a cantare a suo modo e a brandirsi sulle mie spalle. Le sue gambe si rilasciarono a poco a poco, ed io vedendo ch’egli non mi stringeva più, lo gettai per terra ove rimase privo di sensi. Allora presi una grossissima pietra e con quella gli schiacciai la testa.

Ebbi gran gioia di essermi liberato per sempre da quel maledetto vecchio e camminai verso il lido del mare, ove trovai alcuni uomini di un naviglio, il quale aveva dato fondo per fare acqua e prendere un po’ di rinfresco. Furono estremamente meravigliati di vedermi e di sentire i particolari delle mie avventure.

— Voi eravate caduto, — mi dissero — nelle mani del vecchio del mare, e voi siete il primo che egli non abbia strangolato.

Dopo avermi informato di queste cose, mi condussero con essi nel loro naviglio, il cui capitano mostrò sommo piacere di ricevermi, quando seppe tutto ciò che m’era accaduto. Fece vela di nuovo, e dopo alquanti giorni di navigazione approdammo al porto di una grande città, le cui case erano fabbricate di buona pietra.

Uno dei mercanti del vascello, che mi era divenuto amico, mi obbligò ad accompagnarlo e mi condusse in un alloggio destinato a servire di ricetto ai mercanti stranieri.

Egli mi diede un gran sacco; quindi, avendomi raccomandato a certe persone della città che avevano un sacco come me, e avendole pregate di menarmi con loro a raccogliere dei cocco, mi disse:

— Andate, seguiteli, e fate come li vedrete fare. Giungemmo ad una gran foresta di alberi estremamente alti, il di cui tronco era tanto liscio da non esser possibile di apprendervisi per salire fino ai rami ov’era il frutto. Erano degli alberi di cocco, da cui volevamo far cadere il frutto e riempire il nostro sacco. Entrando nella foresta vedemmo un gran numero di grosse e piccole scimmie, le quali presero a fuggire innanzi a noi appena ci scorsero, salendo fino alla cima degli alberi con una maravigliosa agilità.

I mercanti raccolsero delle pietre e le gettarono contro le scimmie.

Imitai il loro esempio, e vidi che le scimmie, fatte accorte del nostro disegno, coglievano con ardore i cocco e ce li gettavano con gesti indicanti il loro sdegno e la loro animosità.

Con questo stratagemma riempivamo i nostri sacchi di quel frutto, il quale ci sarebbe stato impossibile di avere in altro modo.

Quando ne avemmo pieni i nostri sacchi, ce ne tornammo alla città, ove il mercante mi pagò il valore del sacco di cocco che io aveva portato.

— Continuate — mi disse — fin tanto che non abbiate guadagnato abbastanza da poter tornare a casa vostra.

Lo ringraziai del buon consiglio, ed insensibilmente feci una grande raccolta di cocco, da mettermi da parte una somma considerevole.

Il vascello, sul quale io era venuto, aveva fatto vela con alcuni mercanti i quali l’avevan caricato di cocco. Attesi l’arrivo di un altro, il quale approdò ben tosto al porto della città per fare un carico simile. Vi feci imbarcare sopra tutto i frutti da me raccolti, e quando fu pronto a partire, andai a prender commiato dal mercante a cui aveva tanta obbligazione. Ei non potette imbarcarsi con me, perché non aveva terminato i suoi affari.

Mi rimisi in mare, allegro, sopra un vascello che approdò felicemente a Bassora; di là tornai a Bagdad.

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