Ott 142013
 

Venuta era la Fiammetta al fin della sua novella, e commendata era stata molto la virile magnificenzia del re Carlo (quantunque alcuna, che quivi era ghibellina, commendar nol volesse), quando Pampinea, avendogliele il re imposto, incominciò.
Niun discreto, ragguardevoli donne, sarebbe, che non dicesse ciò che voi dite del buon re Carlo, se non costei che gli vuol mal per altro; ma, per ciò che a me va per la memoria una cosa non meno commendevole forse che questa, fatta da un suo avversario ancora in una nostra giovane fiorentina, quella mi piace di raccontarvi.
Nel tempo che i franceschi di Cicilia furon cacciati, era in Palermo un nostro fiorentino speziale, chiamato Bernardo Puccini, ricchissimo uomo, il quale d'una sua donna senza più aveva una figliuola bellissima e già da marito. Ed essendo il re Pietro di Raona signor della isola divenuto, faceva in Palermo maravigliosa festa co'suoi baroni. Nel la qual festa armeggiando egli alla catalana, avvenne che la figliuola di Bernardo, il cui nome era Lisa, da una finestra dove ella era con altre donne, il vide correndo egli, e sì maravigliosamente le piacque, che, una volta e altra poi riguardandolo, di lui ferventemente s'innamorò. E cessata la festa, ed ella in casa del padre standosi, a niun'altra cosa poteva pensare se non a questo suo magnifico e alto amore. E quello che intorno a ciò più l'offendeva, era il cognoscimento della sua infima condizione, il quale niuna speranza appena le lasciava pigliare di lieto fine; ma non per tanto da amare il re indietro si voleva tirare, e per paura di maggior noia a manifestar non l'ardiva.
Il re di questa cosa non s'era accorto né si curava; di che ella, oltre a quello che si potesse estimare, portava intollerabil dolore.
Per la qual cosa avvenne che, crescendo in lei amor continuamente e una malinconia sopr'altra aggiugnendosi, la bella giovane più non potendo infermò, ed evidentemente di giorno in giorno, come la neve al sole, si consumava.
Il padre di lei e la madre, dolorosi di questo accidente, con conforti continui e con medici e con medicine in ciò che si poteva l'atavano; ma niente era, per ciò che ella, sì come del suo amore disperata, aveva eletto di più non volere vivere. Ora avvenne che, offerendole il padre di lei ogni suo piacere, le venne in pensiero, se acconciamente potesse, di volere il suo amore e il suo proponimento, prima che morisse, fare al re sentire; e per ciò un dì il pregò che egli le facesse venire Minuccio d'Arezzo.
Era in que'tempi Minuccio tenuto un finissimo cantatore e sonatore, e volentieri dal re Pietro veduto, il quale Bernardo avvisò che la Lisa volesse per udirlo alquanto e sonare e cantare; per che, fattogliele dire, egli, che piacevole uomo era, incontanente a lei venne; e poi che alquanto con amorevoli parole confortata l'ebbe, con una sua vivuola dolcemente sonò alcuna stampita e cantò appresso alcuna canzone; le quali allo amor della giovane erano fuoco e fiamma, là dove egli la credea consolare.
Appresso questo disse la giovane che a lui solo alquante parole voleva dire; per che, partitosi ciascun altro ella gli disse:
– Minuccio, io ho eletto te per fidissimo guardatore d'un mio segreto, sperando primieramente che tu quello a niuna persona, se non a colui che io ti dirò, debbi manifestar giammai; e appresso, che in quello che per te si possa tu mi debbi aiutare: così ti priego.
Dei adunque sapere, Minuccio mio, che il giorno che il nostro signor re Pietro fece la gran festa della sua esaltazione, mel venne, armeggiando egli, in sì forte punto veduto, che dello amor di lui mi s'accese un fuoco nell'anima, che al partito m'ha recata che tu mi vedi; e conoscendo io quanto male il mio amore ad un re si convenga, e non potendolo non che cacciare ma diminuire, ed egli essendomi oltre modo grave a comportare, ho per minor doglia eletto di voler morire, e così farò.
E' il vero che io fieramente n'andrei sconsolata, se prima egli nol sapesse; e non sappiendo per cui potergli questa mia disposizion fargli sentire più acconciamente che per te, a te commettere la voglio, e priegoti che non rifiuti di farlo, e quando fatto l'avrai assapere mel facci, acciò che io, consolata morendo, mi sviluppi da queste pene -: e questo detto piagnendo, si tacque.
Maravigliossi Minuccio dell'altezza dello animo di costei e del suo fiero proponimento, e increbbenegli forte, e subitamente nello animo corsogli come onestamente la poteva servire, le disse:
– Lisa, io t'obbligo la mia fede, della quale vivi sicura che mai ingannata non ti troverrai, e appresso commendandoti di sì alta impresa, come è aver l'animo posto a così gran re, t'offero il mio aiuto, col quale io spero, dove tu confortar ti vogli, sì adoperare, che, avanti che passi il terzo giorno ti credo recar novelle che sommamente ti saran care; e per non perder tempo, voglio andare a cominciare.
La Lisa, di ciò da capo pregatol molto e promessogli di confortarsi, disse che s'andasse con Dio.
Minuccio partitosi, ritrovò un Mico da Siena assai buon dicitore in rima a quei tempi, e con prieghi lo strinse a far la canzonetta che segue:

Muoviti, Amore, e vattene a messere,
e contagli le pene ch'io sostegno;
digli ch'a morte vegno,
celando per temenza il mio volere.

Merzede, Amore, a man giunte ti chiamo,
ch'a messer vadi là dove dimora.
Di'che sovente lui disio e amo,
sì dolcemente lo cor m'innamora;
e per lo foco, ond'io tutta m'infiamo,
temo morire, e già non saccio l'ora
ch'i'parta da sì grave pena dura,
la qual sostegno per lui disiando,
temendo e vergognando.
Deh! il mal mio, per Dio, fagli assapere.

Poi che di lui, Amor, fu'innamorata,
non mi donasti ardir quanto temenza
che io potessi sola una fiata
lo mio voler dimostrare in parvenza
a quegli che mi tien tanto affannata;
così morendo il morir m'è gravenza.
Forse che non gli saria spiacenza,
se el sapesse quanta pena i'sento,
s'a me dato ardimento
avesse in fargli mio stato sapere.

Poi che 'n piacere non ti fu, Amore,
ch'a me donassi tanta sicuranza,
ch'a messer far savessi lo mio core
lasso, per messo mai o per sembianza,
mercé ti chero, dolce mio signore,
che vadi a lui, e donagli membranza
del giorno ch'io il vidi a scudo e lanza
con altri cavalieri arme portare:
presilo a riguardare
innamorata sì che 'l mio cor pere!

Le quali parole Minuccio prestamente intonò d'un suono soave e pietoso, sì come la materia di quelle richiedeva, e il terzo dì se n'andò a corte, essendo ancora il re Pietro a mangiare, dal quale gli fu detto che egli alcuna cosa cantasse con la sua viuola. Laonde egli cominciò sì dolcemente sonando a cantar questo suono, che quanti nella real sala n'erano parevano uomini adombrati, sì tutti stavano taciti e sospesi ad ascoltare, e il re per poco più che gli altri.
E avendo Minuccio il suo canto fornito, il re il domandò donde questo venisse che mai più non gliele pareva avere udito.
– Monsignore, – rispose Minuccio – e'non sono ancora tre giorni che le parole si fecero e 'l suono -. Il quale, avendo il re domandato per cui, rispose:
– Io non l'oso scovrir se non a voi.
Il re, disideroso d'udirlo, levate le tavole, nella camera sel fe'venire, dove Minuccio ordinatamente ogni cosa udita gli raccontò. Di che il re fece gran festa, e commendò la giovane assai, e disse che di sì valorosa giovane si voleva aver compassione; e per ciò andasse da sua parte a lei e la confortasse, e le dicesse che senza fallo quel giorno in sul vespro la verrebbe a visitare.
Minuccio, lietissimo di portare così piacevole novella, alla giovane senza ristare con la sua viuola n'andò, e con lei sola parlando, ogni cosa stata raccontò, e poi la canzone cantò con la sua viuola.
Di questo fu la giovane tanto lieta e tanto contenta, che evidentemente senza alcuno indugio apparver segni grandissimi della sua sanità; e con disidero, senza sapere o presummere alcun della casa che ciò si fosse, cominciò ad aspettare il vespro, nel quale il suo signor veder dovea.
Il re, il qual liberale e benigno signore era, avendo poi più volte pensato alle cose udite da Minuccio e conoscendo ottimamente la giovane e la sua bellezza, divenne ancora più che non era di lei pietoso; e in sull'ora del vespro montato a cavallo, sembiante faccendo d'andare a suo diporto, pervenne là dov'era la casa dello speziale; e quivi fatto domandare che aperto gli fosse un bellissimo giardino il quale lo speziale avea, in quello smontò, e dopo alquanto domandò Bernardo che fosse della figliuola, se egli ancora maritata l'avesse.
Rispose Bernardo:
– Monsignore, ella non è maritata, anzi è stata e ancora è forte malata; è il vero che da nona in qua ella è maravigliosamente migliorata.
Il re intese prestamente quello che questo miglioramento voleva dire, e disse:
– In buona fè danno sarebbe che ancora fosse tolta al mondo sì bella cosa; noi la vogliamo venire a visitare.
E con due compagni solamente e con Bernardo nella camera di lei poco appresso se n'andò, e come là entro fu, s'accostò al letto dove la giovane alquanto sollevata con disio l'aspettava, e lei per la man prese dicendo:
– Madonna, che vuol dir questo? Voi siete giovane e dovreste l'altre confortare, e voi vi lasciate aver male: noi vi vogliam pregare che vi piaccia, per amor di noi, di confortarvi in maniera che voi siate tosto guerita.
La giovane, sentendosi toccare alle mani di colui il quale ella sopra tutte le cose amava, come che ella alquanto si vergognasse, pur sentiva tanto piacer nell'animo, quanto se stata fosse in paradiso; e, come potè, gli rispose:
– Signor mio, il volere io le mie poche forze sottoporre a gravissimi pesi, m'è di questa infermità stata cagione, dal la quale voi, vostra buona mercé, tosto libera mi vedrete.
Solo il re intendeva il coperto parlare della giovane, e da più ogn'ora la reputava, e più volte seco stesso maladisse la fortuna, che di tale uomo l'aveva fatta figliuola; e poi che alquanto fu con lei dimorato e più ancora confortatala, si partì.
Questa umanità del re fu commendata assai, e in grande onor fu attribuita allo speziale e alla figliuola; la quale tanto contenta rimase, quanto altra donna di suo amante fosse giammai; e da migliore speranza aiutata, in pochi giorni guerita, più bella diventò che mai fosse.
Ma poi che guerita fu, avendo il re con la reina diliberato qual merito di tanto amore le volesse rendere, montato un dì a cavallo con molti de'suoi baroni a casa dello spezial se n'andò, e nel giardino entratosene, fece lo spezial chiamare e la sua figliuola; e in questo venuta la reina con molte donne, e la giovane tra lor ricevuta, cominciarono maravigliosa festa.
E dopo alquanto il re insieme con la reina chiamata la Lisa, le disse il re:
– Valorosa giovane, il grande amor che portato n'avete v'ha grande onore da noi impetrato, del quale noi vogliamo che per amor di noi siate contenta; e l'onore è questo, che, con ciò sia cosa che voi da marito siate, noi vogliamo che colui prendiate per marito che noi vi daremo, intendendo sempre, non ostante questo, vostro cavaliere appellarci, senza più di tanto amor voler da voi che un sol bacio.
La giovane, che di vergogna tutta era nel viso divenuta vermiglia, faccendo suo il piacer del re, con bassa voce così rispose:
– Signor mio, io son molto certa che, se egli si sapesse che io di voi innamorata mi fossi, la più della gente me ne reputerebbe matta, credendo forse che io a me medesima fossi uscita di mente e che io la mia condizione e oltre a questo la vostra non conoscessi; ma come Iddio sa, che solo i cuori de'mortali vede, io nell'ora che voi prima mi piaceste, conobbi voi essere re e me figliuola di Bernardo speziale, e male a me convenirsi in sì alto luogo l'ardore dello animo dirizzare. Ma, sì come voi molto meglio di me conoscete, niuno secondo debita elezione ci s'innamora, ma secondo l'appetito e il piacere; alla qual legge più volte s'opposero le forze mie, e più non potendo, v'amai e amo e amerò sempre. E' il vero che, com'io ad amore di voi mi sentii prendere, così mi disposi di far sempre, del vostro, voler mio, e per ciò, non che io faccia questo di prender volentier marito e d'aver caro quello il quale vi piacerà di donarmi, che mio onore e stato sarà, ma se voi diceste che io dimorassi nel fuoco, credendovi io piacere mi sarebbe diletto. Avere uno re per cavaliere, sapete quanto mi si conviene, e per ciò più a ciò non rispondo; né il bacio che solo del mio amor volete, senza licenzia di madama la reina vi sarà per me conceduto. Nondimeno di tanta benignità verso me, quanta è la vostra e quella di madama la reina che è qui, Iddio per me vi renda e grazie e merito; ché io da render non l'ho -. E qui si tacque.
Alla reina piacque molto la risposta della giovane, e parvele così savia come il re l'aveva detto. Il re fece chiamare il padre della giovane e la madre, e sentendogli contenti di ciò che fare intendeva, si fece chiamare un giovane, il quale era gentile uomo ma povero, ch'avea nome Perdicone, e postegli certe anella in mano, a lui, non recusante di farlo, fece sposare la Lisa.
A'quali incontanente il re, oltre a molte gioie e care che egli e la reina alla giovane donarono, gli donò Ceffalù e Calatabellotta, due bonissime terre e di gran frutto, dicendo:
– Queste ti doniamo noi per dote della donna; quello che noi vorremo fare a te, tu tel vedrai nel tempo avvenire.
E questo detto, rivolto alla giovane, disse:
– Ora vogliam noi prender quel frutto che noi del vostro amor aver dobbiamo -, e presole con amendune le mani il capo, le baciò la fronte.
Perdicone e 'l padre e la madre della Lisa ed ella altressì contenti, grandissima festa fecero e liete nozze.
E secondo che molti affermano, il re molto bene servò alla giovane il convenente; per ciò che mentre visse sempre s'appellò suo cavaliere, né mai in alcun fatto d'arme andò, che egli altra sopransegna portasse che quella che dalla giovane mandata gli fosse.
Così adunque operando si pigliano gli animi dei suggetti; dassi altrui materia di bene operare, e le fame etterne s'acquistano. Alla qual cosa oggi pochi o niuno ha l'arco teso dello 'ntelletto, essendo li più de'signori divenuti crudeli tiranni.

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